Negli USA prosegue il dibattito sugli inni sacri vietati durante la Messa perché considerati problematici dal punto di vista teologico

Prosegue il lungo dibattito iniziato nel 2020 negli USA e che si concentra attorno al tema degli inni sacri da utilizzare durante la celebrazione della Messa, aperto dalla pubblicazione di nuove linee guida – che non sono categoriche – da parte della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti ed entrato soprattutto nel vivo nel Missouri e, in particolare, nella diocesi di Jefferson City dopo la decisione dello scorso anno di vietare alcuni inni sacri; poi revocata dopo il clamore suscitato tra i fedeli e sui media.



Partendo dal principio, è utile ricordare che secondo le nuove linee guida sugli inni sacri (inserite nel rapporto chiamato “Innodia cattolica al servizio della Chiesa: un aiuto per la valutazione dei testi degli inni“) della Conferenza statunitense alcuni dei canti usati nelle Messe presenterebbero diverse criticità dal punto di vista del rispetto della dottrina eucaristica e della teologia propriamente intesa.



Di per sé il rapporto non indica degli inni sacri precisi da considerare “scorretti”, ma elenca una serie di criticità alle quali le diocesi dovrebbero prestare attenzione: tra queste vi sono, appunto, le possibili “carenze nella (..) dottrina eucaristica“, i canti con una “visione della Chiesa (..) essenzialmente come una costruzione umana” e gli inni sacri che restituiscono un “senso inadeguato di un’antropologia distintamente cristiana“.

Il dibattito statunitense sugli inni sacri: la diocesi di Jefferson City ne vietò una dozzina, ma poi fece un passo indietro

Le linee guida sugli inni sacri della Conferenza inizialmente sembrarono non destare particolare interesse da parte delle diocesi statunitensi, ma lo scorso anno – proprio a fine ottobre – fu la diocesi di Jefferson City a mischiare le carte in tavola: l’arcivescovo Shawn McKnight, infatti, decise di stilare di proprio pugno – dopo una consultazione durata circa un anno – un elenco di 12 inni sacri tassativamente vietati all’interno del territorio diocesano.



Roma. La Basilica di San Pietro (Ansa)

Gli inni sacri erano stati vietati proprio ai sensi delle criticità sollevate dalla Conferenza, ma includevano anche bandi ad artisti considerati controversi per via di alcune accuse di abusi sessuali mosse nei loro confronti; mentre la decisione sollevò un vero e proprio polverone tale da costringere l’arcivescovo – appena 5 giorni dopo l’entrata in vigore del divieto – a fare un passo indietro e revocare il decreto.

Da quel momento, la discussione sugli inni sacri è stata rimandata di un anno, aprendo le porte a un’ampia consultazione – quella famosa “sinodalità” più volte richiamata da Papa Francesco nei suoi anni di pontificato – con i fedeli, i parroci e chiunque desiderasse partecipare: l’attuale linea – spiega CatholicNewsAgency – sembra essere quella di privilegiare i classici canti gregoriani, fornendo alle parrocchie dei suggerimenti sui messali canori che potrebbero adottare; ma senza veri e propri divieti.