Evento sull’intelligenza artificiale organizzato dalla Fondazione Don Gnocchi: ecco come la gestione dei dati può cambiare la cura degli anziani
L‘intelligenza artificiale come strumento per costruire un nuovo umanesimo tecnologico che sappia guardare agli anziani e in generale a chi è in condizioni di fragilità. La Fondazione don Gnocchi raccoglie la sfida dell’IA e delle sue applicazioni nel campo della cura delle persone mettendo a tema l’innovazione come strumento per rispondere ai bisogni di assistenza.
Il primo passo di un percorso per prendere consapevolezza degli orizzonti che si schiudono grazie all’uso delle novità tecnologiche è stato un evento organizzato all’Istituto Palazzolo di Milano (Istituto geriatrico riabilitativo) insieme ad associazioni come Amici di Don Palazzolo ODV, Mi’mpegno, Distretto Lions 108Ib4 Milano Città Metropolitana e Pensiero Solido: ne è uscita la visione di una tecnologia capace di essere solidale, che interpella le relazioni fra le persone e il loro essere comunità, intercettando i temi della comunicazione e della consapevolezza delle opportunità che offrono alcuni strumenti tecnologici.
Un convegno che ha ribadito come nell’utilizzo dell’IA resti centrale il dato e di come sia necessario utilizzare le informazioni che si acquisiscono nel rispetto della persona.
Guidato dal moderatore Antonio Palmieri, cofondatore e presidente della Fondazione “Pensiero solido” l’incontro, al quale hanno partecipato anche alcuni pazienti dell’Istituto Palazzolo, si è sviluppato prendendo in considerazione tutti gli aspetti del problema, a cominciare dalla definizione del contesto in cui l’intelligenza artificiale può essere usata.
“L’Istituto Palazzolo -ha spiegato Antonio Troisi, direttore dell’Area territoriale nord della Fondazione don Gnocchi onlus- prende in carico ogni giorno 1500 persone che fanno parte di quella fascia d’età oggi definita Silver Age fino ai grandi anziani, e cerca di condurle verso la l’obiettivo della loro salute. Persone che entrano nelle nostre strutture o ci accolgono a casa vivendo il valore della relazione e del suo mantenimento tra gli individui”.
La necessità di affrontare le nuove sfide tecnologiche insieme ad altri, come comunità è stata sottolineata anche dagli interventi seguenti: quello di Carmelo Ferraro, ad esempio, presidente di “M’impegno”: “Sappiamo tutti che viviamo un contesto dove la solitudine avanza, dove si fa fatica a realizzare la coesione sociale -ha spiegato nel suo intervento- e l’innovazione va veloce, molto di più delle riflessioni etiche che riusciamo a mettere in campo su di essa.
Però constatiamo che c’è tanta positività. Per questo abbiamo sentito il bisogno di aprire uno spazio di dialogo, per ascoltare anche quel mondo sociale che qui è fortemente rappresentato, per costruire qualcosa insieme, rigenerando una rete civica, sociale, costituita da tante persone”.
Dopo il contributo di Rossella Vitali, Governatore Distretto Lions 108Ib4 Milano Città Metropolitana e Vito Santo Pietroforte, presidente Amici di Don Palazzolo ODV, l’evento ha cominciato a interrogarsi sull’uso concreto dell’IA nella cura. “Oggi parliamo della presa in carico del soggetto con una malattia cronica -ha spiegato Cristina Messa, direttore scientifico della Fondazione Don Gnocchi onlus- L’intelligenza artificiale ormai è tanto friendly, ma di fatto nella sanità, nella medicina dipende da un elemento fondamentale, dai dati di ciascuno di noi.
Nelle situazioni di cronicità i dati provengono dai sintomi, dall’andamento giornaliero della pressione arteriosa, dagli esami del sangue, dalle immagini delle radiografie. Questi dati vengono analizzati da un sistema che ha imparato a farlo grazie alle indicazioni che gli abbiamo dato noi”. Un sistema che ci permette di capire come la persona risponderà a certe situazioni, che permette una predittività secondo i comportamenti del paziente.
In questo contesto Giuseppe Barbalinardo, senior director artificial intelligence Tonal (USA), compagnia in cui lavora ormai da dodici anni, ha parlato di come l’IA può servire per migliorare la nostra longevità. Per dare più anni alla nostra vita è necessario fare attività fisica per almeno 10-20 ore a settimana e la tecnologia ha creato strumenti che permettono di controllare proprio questo aspetto. “Ci sono accessori – ha spiegato Barbalinardo- che ci permettono di raccogliere informazioni su una persona mentre sta facendo un’attività di riabilitazione. Hanno all’interno dei sensori, accelerometri, giroscopi e così via.
Penso a collegamenti ad accessori già esistenti come un orologio intelligente al nostro polso, allo smartphone, ad altri sistemi in grado di tracciare per esempio il nostro battito”. In questo modo si possono anche prevenire gli infortuni, attraverso computer vision, grazie al quale l’IA legge dei video, analizzando i movimenti delle persone e definendo un modello biomeccanico che suggerisce come bisogna muoversi.
Al centro, insomma, restano i dati e il loro utilizzo. Dati che devono essere governati, ha spiegato Ruben Razzante, docente di Diritto dell’Informazione dell’Università Cattolica di Milano e consulente della Commissione anti-odio del Senato, ma che definiscono comunque un mondo in cui la tecnologia deve essere messa al servizio della persona, in cui l’innovazione deve essere gestita tenendo conto, appunto, delle relazioni che si concretizzano durante la cura e della necessità che tutti si interroghino sull’uso dell’IA e le sue implicazioni.
Il convegno ha dato il via, quindi, a un percorso che la rete degli operatori, dei pazienti e delle associazioni del terzo settore devono cercare di intraprendere insieme. La sfida tecnologica per migliorare le cure deve mantenere al centro la persona e la sua umanità.
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