Gruppo di soldati dell'IDF sono contro la guerra e vengono allontanati. Sia USA che Israele perseguono l'esodo "volontario" dei palestinesi
Si stringono i tempi per un nuovo accordo che punti alla liberazione di altri ostaggi, ma il futuro che Trump e Netanyahu hanno in mente per la Striscia di Gaza è quello dell’evacuazione “volontaria” dei palestinesi, con destinazione Egitto e Giordania.
Una scelta politica, spiega Filippo Landi, già corrispondente RAI a Gerusalemme e inviato del TG1 Esteri, per realizzare la quale ci vorranno mesi, anni. Per israeliani e americani i tempi sono maturi, visto che ormai a Gaza tutto è stato distrutto, non arriva nessun tipo di aiuto, tanto meno medicinali. L’OMS ha denunciato che ci sono 10mila palestinesi feriti che rischiano la vita perché non possono curarsi.
Intanto un gruppo di militari dell’IDF ha sottoscritto una lettera dichiarando che la guerra non ha più senso perché nella Striscia non ci sono più obiettivi da colpire, se non la popolazione civile. Inoltre, secondo questi ufficiali e soldati, è ormai chiaro che il conflitto non porterà alla liberazione degli ostaggi.
Nell’esercito israeliano si registrano dei malumori di fronte alla guerra, che hanno portato a prese di posizione pubbliche. I soldati non sono più disposti a sostenere il conflitto?
I malumori sono venuti allo scoperto con una lettera promossa da un gruppo di ufficiali dell’aviazione, in gran parte costituita da piloti della riserva che hanno operato a Gaza. Vi si dice che ormai nella Striscia il prolungamento della guerra è una questione politica e non più militare.
Non riguarda più la sicurezza di Israele. Un’affermazione che chiede la fine del conflitto per liberare gli ostaggi, intorno alla quale si è coagulato un gruppo di ufficiali e soldati.
Quanti?
Mille persone, un numero importante, che sono state messe fuori dalla riserva su ordine del capo di stato maggiore Eyal Zamir, generale fautore del proseguimento della guerra. Una decisione appoggiata da Netanyahu, che considera i promotori della lettera un gruppo marginale ed estremista. Ai piloti viene chiesto di condurre una guerra che per loro non ha più senso, avendo distrutto tutto quello che c’era da distruggere.
Che cosa si bombarda ora?
I nuovi bombardamenti colpiscono solo i civili: ci sono edifici colpiti con la gente dentro. Si punta ai luoghi dove la gente vive o si rifugia. Non hanno una valenza militare, ma mirano ad allontanare le persone dal territorio.
Israele ed Egitto si scambiano nuove proposte di accordo, Trump dice di essere vicino alla liberazione degli ostaggi. Le trattative stanno riprendendo veramente o è la solita cortina fumogena?
Per capire quello che sta accadendo bisogna ripensare alle parole che Trump ha pronunciato a Netanyahu nello Studio Ovale davanti ai giornalisti: “Stiamo lavorando duramente per riportare a casa gli ostaggi”. Tutto sta in quel “duramente”: un messaggio per dire che la soluzione militare della guerra a Gaza non avrebbe portato al salvataggio e alla liberazione degli ultimi ostaggi israeliani.
Si prefigurava già, insomma, una ripresa delle trattative. La bozza di accordo non è molto diversa dalla precedente: liberazione ogni settimana di 8 ostaggi israeliani in cambio di una tregua che varia dai 60 ai 70 giorni.
Si parla di colloqui diretti fra USA e Hamas: che trattative sono, simili a quelle con Zelensky? Mettono l’avversario spalle al muro per costringerlo ad accettare le loro condizioni?
Formalmente sono egiziani e qatarini a portare avanti la trattativa fra Israele e Hamas, anche se nella sostanza è l’amministrazione Trump che, come sempre, ha dato una spinta per la ripresa dei colloqui. I margini di trattativa di Hamas vengono considerati praticamente inesistenti: è la riproposizione dello schema adottato con Ucraina e Zelensky.
Non bisogna sottovalutare, però, lo spaventoso numero di morti causati dai bombardamenti israeliani, l’affamamento della popolazione di Gaza e la dichiarazione congiunta di tutte le agenzie dell’ONU per cui ormai la Striscia è diventata una terra di sterminio: elementi che non sono passati inosservati all’amministrazione americana, che pure appoggia l’invio di nuove armi a Netanyahu.
Quanto è grave la situazione a Gaza?
Basti un dato: secondo l’OMS ci sono almeno 10mila feriti palestinesi che necessitano di essere evacuati per sopravvivere. Un numero enorme. Da più di un mese non c’è disponibilità di acqua e medicine: non entra nulla.
Qual è il futuro della Striscia secondo le trattative?
Le trattative in corso non prevedono un’ipotesi sul futuro politico di Gaza. Ci sono stati incontri, fra Trump e Netanyahu e quello al Cairo di Macron con Egitto e Giordania, dove emergono alcuni elementi che riguardano il futuro: USA e Israele pensano che sia il momento per spalancare le porte di Gaza per la cosiddetta evacuazione volontaria dei palestinesi.
Ritengono che si siano create le condizioni sul terreno (la distruzione totale dei centri abitati) per indurli a uscire. C’è un secondo elemento: la fantomatica trattativa annunciata da Netanyahu al gabinetto israeliano con due grandi Stati che sarebbero disposti ad accogliere i palestinesi in uscita da Gaza. Facile immaginare che sarebbero Egitto e Giordania.
I francesi che ruolo hanno in tutto questo?
Macron ha annunciato per giugno il riconoscimento dello Stato di Palestina. Gli incontri del Cairo prefigurano una permanenza dell’ANP sul territorio che gli israeliani lascerebbero libero a Gaza, un piccolissimo spazio di terra. Nella Striscia Hamas non dovrebbe essere più operativa.
Le trattative possono arrivare a qualcosa? Hamas è troppo debole per resistere?
Alcuni dicono che Hamas è indebolita, altri, di parte israeliana, che ha reclutato un gran numero di giovani, azzardando addirittura la cifra complessiva di 40mila persone. Andrei molto piano prima di dire che Hamas sia totalmente indebolita. Una parte dell’intelligence israeliana pensa che sia ancora forte.
Quando e come si arriverà alla fine della guerra?
La fine della guerra può essere solo il frutto di una riflessione politica. Se Netanyahu e Smotrich, con la benedizione di Trump, pensano all’evacuazione volontaria dei palestinesi, siamo in presenza di uno scenario che si prolunga per mesi, per anni.
Se va avanti la strategia della chiusura dei campi profughi (a Betlemme, per esempio, a ridosso della chiesa della Natività, dove agli abitanti è stato detto che se ne devono andare) è una scelta politica. Per inciso, coloro che pensano a questa via di uscita poi utilizzano le istituzioni internazionali per finanziare i Paesi che dovrebbero ospitare i palestinesi. Alla Giordania è stato dato un miliardo di dollari per aiutare la sua economia.
(Paolo Rossetti)
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