Dietro gli scontri nella provincia drusa l’accordo tra Siria e Israele voluto dagli USA. Ultimatum al Libano: Hezbollah disarmato o il Paese sarà smembrato
La Siria torna teatro di scontri con attacchi israeliani anche a Damasco, alla sede delle forze di sicurezza. Anche se, in realtà, gli scontri tra beduini e drusi che hanno richiamato, nei giorni scorsi, le forze governative siriane nella regione di Sweida potrebbero essere stati creati ad arte proprio per permettere ad Al Sharaa di mettere piede in questa provincia e assumerne il controllo.
Dietro l’attacco, osserva Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia, collaboratore di Avvenire, in realtà ci sarebbe un accordo per cui il capo di Hayat Tahrir al Sham (HTS) unificherebbe la Siria sotto di lui, garantendo poi la pace con Israele. La rimodellazione di questa parte del Medio Oriente, secondo un piano di marca USA, riguarderebbe anche il Libano, che ha tempo fino a fine 2025 per demilitarizzare Hezbollah; altrimenti, in caso di mancata unità del Paese, potrebbe esser diviso, con una parte consistente che finirebbe nel progetto della Grande Siria.
Israele torna a essere protagonista di azioni militari in Libano e in Siria, dove, in seguito agli scontri tra beduini e drusi, si parla di decine di morti. Perché questa recrudescenza della violenza, soprattutto in Siria?
Quello che è successo ci dà un’indicazione molto chiara sull’andamento del piano americano per quest’area, gestito da Tom Barrack, ambasciatore USA in Turchia, incaricato da Trump di occuparsi della Siria e del dossier libanese. L’ingresso delle truppe governative siriane a Sweida, nel capoluogo della provincia a maggioranza drusa, rappresenta il capovolgimento della situazione che si era creata dopo la caduta di Assad. Il governo centrale di Damasco mette le mani su una provincia che aveva mantenuto una sorta di autonomia, quantomeno dal punto di vista della sicurezza.
Come si è arrivati a questo punto?
In precedenza c’era un accordo che permetteva ai drusi di mantenere una semiautonomia, in attesa di definire il quadro generale della Siria, di capire se dovesse strutturarsi come stato federale o meno. Ma l’ingresso delle truppe governative, che rispondono al ministro della Difesa o dell’Interno, quindi forze di sicurezza e soldati, dimostra che quell’orientamento non è più valido. E non lo sarà neanche per curdi e alawiti. I rumors dicono che, con il beneplacito internazionale e quello di Israele, Al Sharaa riunirà sotto il suo governo grosso modo l’intera Siria, in cambio della cooptazione siriana negli Accordi di Abramo: insomma, Damasco firmerà la pace con Israele, in cambio del mantenimento dell’integrità territoriale.
Come si sta realizzando questo piano?
L’accordo sarebbe stato raggiunto durante incontri in Azerbaijan, Paese con cui Israele ha dei legami. Occorreva, però, un casus belli per dare ad Al Sharaa il pretesto di entrare nella provincia drusa. I beduini, che occupano un quartiere a Sweida, lo avrebbero creato attraverso il rapimento di un commerciante druso. I drusi, a loro volta, hanno risposto sequestrando membri delle tribù beduine, scatenando gli scontri di questi giorni, con un bilancio che, secondo alcune fonti, potrebbe essere anche di 250 morti circa. Le forze governative sono intervenute con il pretesto di ristabilire l’ordine.
Israele, che ultimamente ha difeso i drusi, cosa guadagna in questa situazione?
Guadagna che tutta la Siria, e non solo il cantone druso o curdo, firma la pace con Tel Aviv. I jet israeliani sono intervenuti contro i convogli militari, i carri armati siriani, solo perché ci sarebbe stata un’intesa per cui non dovevano oltrepassare una certa linea.
Insomma, Netanyahu e Al Sharaa in realtà sarebbero d’accordo?
Sì, anche se voglio vedere come reagirà la comunità drusa in Israele. Tel Aviv, che ha sbandierato per mesi la carta della protezione delle minoranze, avrebbe venduto i drusi. Nelle incursioni dei giorni scorsi, ai drusi sono stati tagliati i baffi per umiliarli e anche i loro tradizionali pantaloni, gli sherwal. Ora bisognerà vedere se lo stesso copione verrà seguito anche con i curdi e gli alawiti.
Anche in Libano sono ricominciati gli attacchi di Israele a Hezbollah. Com’è la situazione?
Barrack ha esortato il Libano a unirsi, ma lo ha fatto evocando il nome storico della Siria, Bilad al-Sham, la Grande Siria. Un riferimento che ha suscitato molta preoccupazione a Beirut. Sarebbe come dire ai libanesi: “Sistemate le vostre faccende, altrimenti il Paese farà parte della Grande Siria”. Di fatto, a 105 anni dalla divisione dell’Impero ottomano, il Medio Oriente assisterebbe al suo rimodellamento.
Quale potrebbe essere la nuova mappa?
Israele potrebbe avere dei vantaggi ottenendo la cessione definitiva del Golan o della maggior parte del Golan. Intanto, l’ultimo documento americano fatto conoscere ai libanesi indica la fine dell’anno come scadenza per il disarmo di Hezbollah e per la definizione di altre riforme. Altrimenti può realizzarsi l’ipotesi della Grande Siria. Non riguarderebbe tutto il Libano, ma la Valle della Bekaa e il Nord, mentre il sud finirebbe sotto l’influenza israeliana. Rimarrebbe il piccolo Libano com’era nella seconda metà dell’800, fino alla Prima guerra mondiale.
Il Libano riuscirà a disarmare Hezbollah?
La banca centrale libanese ha comunicato a tutti gli istituti di credito di non operare più con al-Qard al-Hasan, istituzione finanziaria di Hezbollah per offrire crediti alle famiglie, di fatto la banca non ufficiale di Hezbollah, con diverse filiali che sono state colpite nella guerra dei 60 giorni. È un modo di asciugare l’economia dell’organizzazione.
Nell’ultimo attacco di Israele sono morte 12 persone, di cui 5 di Hezbollah. Un’operazione che si inserisce in questo quadro?
La metto in connessione con quanto sta succedendo: l’America preme politicamente sul Libano, gli israeliani lo fanno militarmente.
(Paolo Rossetti)
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