In questo Circo Barnum che è ormai da troppo tempo tutta l’operazione Alitalia che, secondo il Professor Ugo Arrigo, Churchill avrebbe giustamente definito “un rebus avvolto in un mistero all’interno di un enigma”, brilla, nel suo finale, il paradosso mediatico e non della serie industriale di commemorazioni per il bene perduto: pianti grechi di prefiche mediatiche che hanno ricordato agli italiani quanto la nostra ormai ex-compagnia di bandiera ci mancherà.
La cosa assurda è che la gran parte di questi falsissimi elogi sono stati citati da coloro che fino a pochi giorni prima ripetevano mantricamente come il “carrozzone” Alitalia andasse eliminato e con esso i suoi “dipendenti privilegiati”. Il culmine di questo si raggiungeva in una trasmissione di Rai 3 dove, dopo averne tessuto tutti gli elogi possibili, il conduttore chiudeva asserendo che finalmente ci eravamo liberati dei biglietti gratis ai dipendenti.
Si tratta ovviamente di una delle tante panzane atomiche fatte mangiare al popolo italiano che a breve si accorgerà di quanto veramente avrà perduto: in primis perché i lavoratori Alitalia di privilegiato è da più di 20 anni che non hanno nulla (a meno di considerare privilegiato il trattamento di cassa integrazione forzata che viene imposta a lavoratori che invece vogliono compiere la loro attività) e che sono l’elemento che più ha sofferto non solo le conduzioni scellerate dal 2000, con continui abbassamenti di un costo lavoro altamente competitivo, ma anche con ridimensionamenti sempre più drastici di organico, ovviamente sempre parte di piani di “sviluppo” metafisici che hanno via via tagliato le ali alla compagnia aerea di un Paese che ha nel turismo la sua industria più evoluta, avendo “sapientemente” buttato in latrina altre entità importanti nel nome di un’incapacità di fare sistema Paese che ora, con l’operazione ITA, sta diventando leggendaria.
In questi ultimi due anni di un’amministrazione controllata davvero “fuori controllo” nelle spese si sono chiamati esperti che hanno elaborato non uno ma tre piani in grado di sviluppare l’importantissimo settore nel pieno rispetto delle regole imposte dall’Ue ma con un rilancio non solo nella flotta ma pure con la rinascita di due settori nei quali in uno, nel corso della sua storia, Alitalia aveva primeggiato: quello della manutenzione. L’altro, quello altrettanto importante del cargo, che permette, se ben gestito, guadagni notevoli ma che politiche suicide hanno cancellato da più di un decennio mettendolo in mani francesi. Ma una volta elaborati i piani, non sono mai stati portati a compimento: così come due offerte per rilevare Alitalia, fatte sia da un fondo statunitense che da un manager specializzato in salvataggi e sviluppi di compagnie aeree non sono state nemmeno prese in considerazione.
I dati dell’AEA, l’associazione che raggruppa i vettori europei, già nel 2006 parlavano chiaro: Alitalia aveva il minor numero di addetti per aeromobile in flotta e ogni 100 euro di ricavi le sue consorelle ne spendevano dai 23 ai 31 come costo lavoro e una media di 63 per la gestione della compagnia. Alitalia solo 16 per il primo settore, ma ben 94 per la sua organizzazione: quindi anche se avessimo potuto mettere posti sulle ali ad aereo pieno si registravano perdite. E questo perché mediamente Alitalia spendeva il 30% in più nel costo del carburante e cifre spropositate nel leasing degli aerei, oltre a tariffe fuori mercato praticate dagli aeroporti italiani per i loro servizi a terra. Spesso le stesse aerostazioni che invece, attraverso una operazione di co-marketing unica in Europa, svolgevano gratis i servizi a compagnie low cost e pagavano addirittura gran parte del costo dei biglietti aerei. Soldi di compagnie di gestione aeroportuali, di Province o Regioni ergo soldi delle tasse degli italiani. Che mai e poi mai si son chiesti come potessero pagare un biglietto aereo meno di una pizza, mentre venivano spennati invece dai “privilegi” dei fannulloni impiegati Alitalia.
Ma costoro sanno che hanno perso la compagnia più puntuale al mondo? O quella i cui servizi hanno vinto numerosissimi premi? Ovviamente no, alimentati da molti improvvisati esperti del trasporto aereo, che ora versano lacrime di coccodrillo ma continuano a scagliarsi contro i biglietti “gratis”. Ma costoro sanno che la IATA, l’organizzazione mondiale che raduna le compagnie aeree, prevede questo benefit per tutti i lavoratori del trasporto aereo del pianeta? E che i biglietti sono standby, ossia parti solo se i posti sono liberi? Di certo no, ma non si scandalizzano per gli sconti sui viaggi in treno dei dipendenti FS o sulle auto di quelli che lavorano alla Fiat o per altri benefit nelle attività lavorative più disparate. Perché loro “lavorano” mentre quelli Alitalia “viaggiavano” con stipendio a fine mese.
E si dimenticano pure che il “carrozzone di Stato”, come definito, dal 2008 era totalmente privato e che lo Stato ha dovuto intervenire su due fallimenti provocati da queste gestioni: la prima quella CAI dei cosiddetti “Capitani coraggiosi” di berlusconiana memoria, la seconda quella contrassegnata dall’entrata della emiratina Etihad. Ambedue esperienze finite malissimo anche perché l’unico dato veramente competitivo e che si è vieppiù abbassato è quello del costo del lavoro. Mentre sia il costo del carburante che i leasing degli aerei che i servizi negli aeroporti si sono mantenuti fuori mercato e hanno segnato ambedue le esperienze: in più quella emiratina si è contraddistinta non solo per le promesse di rafforzamento della flotta intercontinentale mai avvenuto (se si eccettua lo scandaloso caso dell’Airbus 340 presidenziale che è tuttora abbandonato a Fiumicino, ma il cui affitto superava annualmente la valutazione dell’aeromobile), ma anche per le rotte su Londra prese da Etihad e ancora non restituite, acquisite a un valore inferiore a quello di mercato, oltre a tutti i dati sensibili dei sistemi di prenotazione e del Club Millemiglia.
Sostengo da anni che in Italia un sistema Paese non esiste e che stiamo pagando un prezzo incredibile per questa ragione nella nostra economia: ma andiamo più in là e pensiamo a un altro a noi abbastanza vicino, il Portogallo. Nazione che fino a pochi anni fa aveva una compagnia aerea “made in Alitalia” che non riusciva mai a far quadrare i conti. Cos’hanno fatto i nostri cari portoghesi, a parte accettare frotte di pensionati italiani con sgravi fiscali (pensate se gli stessi sgravi fossero stati dati in Italia, sempre ai nostri pensionati, per trasferirsi al Sud o nelle Isole) ? Lo Stato portoghese è rimasto proprietario di TAP con il 75% del capitale, ma ha ceduto il 25% nelle mani dell’Atlantic Gateway Consortium, un gruppo privato di esperti del settore. Con risultati positivi non solo in termini di bilancio ma pure di gestione, creando un brand che è oggi punto di riferimento pure per gli italiani che vivono nel Continente americano.
Anche perché, non dimentichiamoci, del fenomeno degli italici: quei 280 milioni di persone che non sono solo discendenti di italiani nel mondo ma anche solo lavorano in settori economici segnati dall’italianità. E che costituiscono una fonte di traffico pazzesca che però noi italiani, nel nostro harakiri economico, regaleremo ad altre Nazioni. Ma si sa, ripetendo un mantra prodiano: “Ce lo chiede la Ue”. Amen.
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