Dati LEA 2023 rivelano disparità sanitarie tra regioni. 8 su 21 insufficienti, migliora la Campania. Preoccupano Sicilia e Calabria.
Non so se è perché ci sono argomenti ben più importanti per attizzare la polemica politica estiva (e ce ne sono, eccome se ce ne sono!) oppure perché quando una cosa si ripete di anno in anno si finisce col farci l’abitudine e si perde lo stimolo polemico, sta di fatto che in questi giorni sono state pubblicate le nuove valutazioni riferite all’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA) da parte delle regioni e nessuno praticamente se ne è accorto.
Di solito squillano le trombe dei premiati e, contemporaneamente, le lamentele dei trombati, ma questa volta tutto appare soft e silenzioso come dopo un’abbondante nevicata invernale: e sì che siamo in estate, un tempo che meteorologicamente si presta ai calori della polemica.
Non che faccia piacere litigare, anche se spesso è ciò in cui i produttori di notizie sperano, ma a volte certe polemiche sono anche un segnale di attenzione all’argomento, mentre il silenzio tende di più verso il disinteresse. Forse non c’era niente da dire? Forse non c’era trippa per gatti? Proviamo a guardarci dentro e verifichiamo se il cappello è vuoto o se contiene qualche coniglio, qualche sorpresa.
Per quei, spero rarissimi, lettori che non fossero sufficientemente informati, o che se lo fossero dimenticato, giova ricordare che i Lea rappresentano la realizzazione pratica del diritto alla salute contenuto nell’art. 32 della Costituzione e che conoscere se, per i cittadini di una regione, tale diritto è (o non è) stato garantito non è una banale verifica burocratica, ma dovrebbe rappresentare il cuore del rapporto di ciascuno con il servizio sanitario.
I nuovi dati si riferiscono al 2023 ed erano già stati anticipati qualche mese fa in forma ufficiosa, suscitando il disappunto del Ministro, ma adesso sono definitivi e descritti in esteso nel volume “Monitoraggio dei LEA attraverso il Nuovo Sistema di Garanzia. Relazione 2023. Maggio 2025”.

Il Nuovo Sistema di Garanzia (NSG), in vigore dal 1° gennaio 2000, è fondato su 88 indicatori (16 per la prevenzione, 33 per l’assistenza distrettuale, 24 per l’ospedaliera, 4 di bisogno, 1 di equità sociale e 10 per i percorsi diagnostico-assistenziali) e su una complessa metodologia di valutazione (vedi dettagli sul sito del Ministero), e produce un punteggio da 0 a 100 per ognuna delle tre aree che compongono i Lea (prevenzione, area distrettuale, area ospedaliera): a 60 punti per ogni livello di assistenza è arbitrariamente fissata la sufficienza.
Nel 2023 nessuna regione è risultata insufficiente in tutti e tre i livelli, e questo è un buon segno perché è la prima volta che succede; tre regioni risultano bocciate su due livelli e cinque sono invece insufficienti in un solo livello. Uno sguardo un po’ più ampio (2020-2023) permette però di capire meglio l’andamento della valutazione, apprezzando più in dettaglio i miglioramenti e i peggioramenti.
Quadriennio 2020-2023: cosa si vede
- Sempre sufficienti in tutti e tre i livelli: Piemonte, Lombardia, P.A. Trento, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Puglia.
- Valutazioni alterne: Liguria, Abruzzo, Campania, Basilicata, Sardegna.
- Sempre insufficienti in almeno un livello: Valle d’Aosta, P.A. Bolzano, Molise, Calabria, Sicilia.
- Insufficienze totali su 63 valutazioni/anno: 16 (2020), 11 (2021), 13 (2022), 11 (2023).
Il livello dove le insufficienze sono più numerose è la prevenzione (6 nel 2020, 4 nel 2021, 7 nel 2022 e 5 nel 2023), mentre l’assistenza ospedaliera è quella che ha segnato un costante miglioramento (5 insufficienze nel 2020, poi 3 nel 2021, e 1 nel 2022 e 2023). A livello di regioni in miglioramento è la Campania che, a fronte di due insufficienze nel 2020, è passata a un’insufficienza nel 2021 e 2022 ed è arrivata a essere promossa in tutti i livelli nel 2023.
Passi in avanti li ha fatti anche la Calabria, che, dopo avere totalizzato tre insufficienze sia nel 2020 che nel 2021, è scesa a due nel 2022 e a una nel 2023, pur continuando quindi a essere bocciata. In controtendenza è la Sicilia, che, dopo avere registrato un’insufficienza nel solo livello prevenzione nel 2020 e nel 2021, nei due anni successivi al deficit in prevenzione ha aggiunto anche quello nel livello distrettuale.
Il rapporto presenta anche i valori dei singoli indicatori utilizzati per la valutazione delle singole regioni e, in particolare, gli indicatori cosiddetti “core”, ma si tratta di un dettaglio eccessivo per i lettori di questi appunti.
Rimanendo sulle questioni più generali, la penna contiene ancora due gruppi di informazioni.
Primo gruppo. È evidente che le regioni che sono state giudicate insufficienti in uno o più livelli devono lavorare, ma non tanto nell’ottica di strappare una risicata promozione (che sarebbe comunque un successo), bensì perché anche i loro cittadini si vedano erogati quei livelli essenziali di assistenza che sono invece già erogati nelle altre regioni. La presenza di insufficienze significa che si stanno creando iniquità e disuguaglianze tra cittadini di diverse regioni nel diritto alla salute, disuguaglianze e iniquità che poi danno luogo anche a quell’indesiderabile fenomeno che si chiama migrazione sanitaria.
Preoccupa soprattutto non l’insufficienza occasionale, ma il fatto che, da tempo, le regioni insufficienti siano sempre le stesse, il che rimanda all’idea che il processo valutativo debba essere accompagnato da attività capaci di indurre significativi miglioramenti, attività che in questi anni non si sono viste.
Secondo gruppo. Se le regioni insufficienti sono marcate dallo stigma della bocciatura, le regioni promosse non si devono sedere sugli allori. Infatti, a fronte di un punteggio complessivo massimo di 300 punti (100 per ogni livello), la regione che nel 2023 è stata meglio valutata ha raggiunto un punteggio di 288, che è abbastanza vicino al massimo in ogni livello, ma dietro di lei le regioni promosse scendono fino a 192, cioè al valore di una risicata sufficienza in ogni livello.
Soprattutto, per chi è molto lontano dai valori massimi, non si tratta solo di lavorare per mantenere almeno la sufficienza e quindi senza rischiare di retrocedere, ma si tratta di impegnarsi seriamente per un miglioramento complessivo dei livelli di assistenza, privilegiando gli interventi (e qui vengono in aiuto i dettagli rappresentati dai singoli indicatori) dove i risultati della valutazione sono stati meno premianti.
Il compito non è facile e i risultati potrebbero non emergere già nella valutazione dell’anno successivo (o nella breve prospettiva temporale di chi governa la regione), ma, senza questo impegno, sarà difficile colmare le iniquità e le disuguaglianze che oggi sono largamente presenti nel nostro servizio sanitario.
