Fitch ha alzato il rating dell'Italia. Sarà importante che nella Legge di bilancio ci siano misure capaci di far crescere il Pil
Era previsto, ma non per questo è meno gradito: Fitch ha confermato il suo giudizio positivo sul debito italiano aggiungendo un segno più alle tre B assegnate in precedenza, l’outlook che allora era positivo adesso è stabile.
Magari ci si poteva attendere qualcosina di meglio, tuttavia l’agenzia di rating è stata prudente, l’Italia ha pur sempre un debito pubblico pari a tremila e 56 miliardi, il 137,9% del prodotto lordo calcola Euronews, con un aumento di circa 100 miliardi di euro in un anno. Resta al secondo posto dopo quello greco (152,5%), mentre la media dell’area euro è dell’88%, che scende ben sotto il fatidico 60% se si escludono Italia e Grecia.
Di qui al 21 novembre sarà una successione di pagelle tutte con punteggio B nelle sue varianti: finora Standard & Poor’s aveva dato un BBB+ stabile, Morningstar DBRS un BBBH positivo, Scope BBB+ stabile e Moody’s Baaa3 positivo.
Può darsi che a fine anno vada meglio, il debito sta smaltendo ancora l’effetto Superbonus e non sono previsti peggioramenti, ma molto dipenderà dalla prossima Legge di bilancio e dal tasso di crescita del prodotto lordo: è questa la variabile chiave che può far scendere il rapporto debito/Pil se il Governo manterrà fermo il deficit nella rotta verso il 3%, obiettivo del Patto di stabilità. Fra dieci giorni, mercoledì primo ottobre, conosceremo il nuovo programma di finanza pubblica e potremo capirlo.
Fitch ha di fatto confermato quel che era già emerso dal giudizio dei mercati, con uno spread con la Germania ormai inferiore a un punto percentuale. Il Tesoro così lancia il nuovo Btp Valore con ottima possibilità di successo. L’agenzia di rating stima un discesa del disavanzo al 3,1% quest’anno con “miglioramenti strutturali dal lato delle entrate e un rigoroso controllo della spesa”; mentre apprezza la stabilità politica e lo “sforzo riformatore” che attenuano le incertezze esterne (l’impatto dei dazi non è ancora calcolabile con esattezza) e una congiuntura europea debole, aggravata dalla stagnazione tedesca e dalla confusione politica in Francia che rende impossibile anche al nuovo Governo di Parigi ridurre in modo consistente il deficit del bilancio statale.
Giancarlo Giorgetti ha messo le mani avanti mentre Giorgia Meloni ha avvertito i partiti che la sostengono, a cominciare dal suo, che non sarà consentito nessun assalto alla diligenza. Dopo ferragosto era già cominciato il balletto delle cifre e si stava organizzando la coda dei questuanti davanti ai ministeri. Ma le risorse restano scarse. Il miglioramento del rating consente di risparmiare sul costo del debito che comunque s’avvicina quest’anno ai 90 miliardi di euro. C’è stato un certo aumento delle entrate e bisognerà vedere poi come sarà andata la riscossione delle imposte sul reddito.

“Non c’è nessun tesoretto – ha detto il ministro del Tesoro -, ma oggi possiamo fare quel che non avremmo potuto se lo spread fosse rimasto al 2,5%”. Una decina di miliardi potranno venire dalla rimodulazione del Pnrr: giovedì si sarà un vertice a palazzo Chigi per fare i conti, si tratta di calcolare a quanto ammontano le misure cancellate perché irrealizzabili e gli interventi già previsti a carico del bilancio italiano che in tal caso verrebbero coperti con le quote del piano europeo.
Sembra il gioco delle tre carte, ma ci dovrebbe essere l’ok di Bruxelles. In tal caso quei dieci miliardi dovrebbero servire a rifinanziare i sostegni al sistema produttivo a partire da Transizione 5.0 e la garanzia di occupabilità dei lavoratori.
Il pezzo forte del prossimo bilancio dovrebbe essere la riduzione dell’Irpef per i redditi fino a 50 mila euro (anche se il viceministro Leo vorrebbe arrivare a 60 mila euro). Dipende dalle risorse disponibili, ma è fondamentale che non si aggiungano bonus, sussidi, esenzioni, sanatorie o scorciatoie varie.
Una riduzione dell’Irpef è la via maestra anche se sarà per il momento solo di due punti percentuali perché l’aliquota scenderebbe dal 35% al 33%. In attesa di quella riforma comprensiva promessa all’inizio della legislatura e che ormai sembra slittare alla prossima.
Anche questo provvedimento servirà a migliorare la pagella del debito e a stimolare l’economia attraverso la domanda interna per consumi. Sarà una spinta “gentile”, ma è chiaro che ci vorrà anche una spinta robusta. Il Governo mette in conto una crescita dello 0,6%, luglio ha chiuso in negativo sia pur di poco (-0,1%) è necessario che in autunno il Pil resti per lo meno positivo.
Lo 0,6% è metà di quel che era stato previsto a inizio anno quando ancora i dazi erano solo una minaccia. La produzione industriale ha mostrato un segnale di leggera ripresa dopo una caduta durata quasi due anni, ma si è visto che le esportazioni sono in sofferenza soprattutto verso Usa e Cina.
Non si può affidare la crescita solo alla manifattura e all’aggiustamento spontaneo delle imprese, nonostante abbiamo mostrato una resistenza e una solidità davvero notevoli. Occorre uno sforzo consistente per aumentare la produttività dei servizi e soprattutto della Pubblica amministrazione. E bisogna accelerare le riforme che migliorano la concorrenza e la competitività.
La separazione delle carriere aumenterà l’efficienza del sistema giudiziario? E di quanto? Il latino alle medie porterà più ragazzi a completare le scuole (siamo agli ultimi posti nell’Ocse)? Quando verrà recuperato il ritardo digitale? L’Italia potrà mai salire in serie A nella classifica del rating? Il seguito alle prossime puntate.
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