Erdogan, Meloni e Dbeibah alleati sui migranti. Ankara potrebbe aiutarci con il Piano Mattei e farci entrare nelle zone economiche esclusive in Libia
Immigrazione irregolare, cooperazione economica, sviluppo energetico, ma anche Gaza e la necessità di un cessate il fuoco. Nel summit fra il presidente turco Recep Erdogan, la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e il primo ministro libico Abdul Mohammed Dbeibah, sono stati questi i temi sul tavolo.
Italia e Turchia negli ultimi tempi hanno intensificato i loro rapporti anche a livello economico e sostengono da sempre il governo di unità nazionale che ha sede a Tripoli, ora in difficoltà a causa di scontri con alcune milizie che ne insidiano il potere.
L’Italia deve fare i conti con i flussi migratori in arrivo dalla Libia, spiega Valeria Giannotta, direttore scientifico dell’Osservatorio Turchia del CeSPI, tornata ad essere primo punto di partenza degli stranieri che vogliono arrivare sulle nostre coste e per questo vuole rafforzare la collaborazione con Ankara e Tripoli.
Ma è interessata anche a partecipare all’accordo turco-libico sulle zone economiche esclusive (ZEE) per lo sfruttamento dell’energia. E con la Turchia può realizzare una collaborazione in Africa che contribuisca alla realizzazione del Piano Mattei.
Quali sono le ragioni di questo inedito incontro a tre Italia-Turchia-Libia?
I grandi temi tra Italia e Turchia sul tavolo sono immigrazione, cooperazione energetica e petrolifera, stabilità regionale e convergenze sul Piano Mattei. Per quanto riguarda l’immigrazione, non è un caso che Meloni sia volata a Istanbul dopo la visita al presidente tunisino Saied. I maggiori flussi migratori verso l’Italia partono dalla Libia e fra Italia e Turchia c’erano già taciti accordi di cooperazione sul dossier sicurezza. La Turchia in Libia è un attore che ha una grande influenza, anche per il contenimento dei flussi migratori, tant’è vero che recentemente si sono verificate azioni militari mirate, con droni turchi, contro postazioni strategiche per il traffico irregolare di migranti. Credo che sia questa la grande urgenza da parte italiana.
E per quanto riguarda l’energia, cosa hanno da dirsi i due Paesi?
Il tema dell’energia era stato affrontato anche il 29 aprile nell’incontro di Roma. Un dossier che riguarda direttamente la Libia. La Turchia, già nel 2019, aveva siglato un memorandum con il governo di Tripoli per la delimitazione di alcune zone economiche esclusive, un piano che faceva da contraltare al progetto EastMed, gasdotto (non ancora realizzato, nda) che, partendo dalle riserve di gas israeliane, passava da Cipro per terminare in Grecia. Un’opera dalla quale la Turchia era rimasta esclusa. Ci sono stati momenti di grande tensione fra Ankara e Atene, in cui si è sfiorato anche il conflitto: i turchi erano stati esclusi dall’utilizzo delle risorse anche vicino alle loro coste. Forti del supporto militare dato ai libici, allora avevano finalizzato la delimitazione delle zone economiche esclusive. L’Italia ora potrebbe volersi inserire anche in questo contesto, fedele a quello che è sempre stato storicamente il suo ruolo in Libia, ma cercando di non inimicarsi greci e ciprioti.
Italia e Turchia hanno interessi comuni anche in relazione al Piano Mattei?
In Africa entrambi i Paesi hanno grossi interessi e in questo continente la Turchia vanta una presenza storica importante. Nel 2026 Ankara dovrà rivedere il suo documento programmatico relativo al continente, che riguarda aree in cui sicuramente gli interessi di Italia e di Turchia si intersecano. Considerando anche lo scenario libico, è interessante capire quali sono le zone di convergenza e di cooperazione, soprattutto ora che è stato pubblicato il secondo Piano Mattei. La Turchia, d’altra parte, continua a essere il principale stakeholder in aree come quella subsahariana, il Sahel, la Somalia, ma anche il Nord Africa. Gli interessi italiani, insomma, si uniscono a quelli della Turchia.

La Turchia come si porrà verso il Piano Mattei in Africa?
Secondo me lo faciliterà. Io non credo in una logica di competizione tra Italia e Turchia in Libia, ma di complementarità. L’unico fattore che poteva suscitare qualche preoccupazione è stata la velocità con cui la Turchia è subentrata nelle logiche libiche, ma è successo anche per la lentezza dell’Italia a reagire nel dopo Gheddafi. Adesso la storia sta dimostrando che la cooperazione è fondamentale e una cooperazione è già stata avviata, per esempio in ambito migratorio: già l’anno scorso c’erano dei documenti sul tavolo di Ankara che attendevano la firma per quanto riguardava la regolamentazione di questo partenariato a livello di sicurezza.
Ma cosa significa zona economica esclusiva?
Che in certe zone della Libia la Turchia può trivellare e disporre delle risorse del territorio.
Zone in cui l’Italia può essere utile grazie al suo know how, soprattutto per l’offshore?
La cooperazione in ambito energetico tra Italia e Turchia, anche in un’ottica di economia circolare, è già avviata all’interno del Mediterraneo. Nel business forum di aprile c’erano già state testimonianze di aziende turche e italiane che cooperano. L’obiettivo è rafforzare le sinergie per entrare in nuovi mercati, sfruttando anche le zone economiche esclusive.
L’incontro con Dbeibah di Meloni ed Erdogan significa che Italia e Turchia aiuteranno il leader di Tripoli a mantenere in vita il governo di unità nazionale?
In Libia le tensioni stanno crescendo. Sui media italiani si legge che Erdogan sta abbandonando il governo di Tripoli a favore di Haftar, ma è una lettura molto approssimativa. Negli ultimi tempi i portavoce di Haftar si sono recati ad Ankara, come anche suo figlio. La Turchia mira a svolgere il ruolo di mediatore.
Il problema di Dbeibah è tenere a bada le milizie che si sono ribellate. I turchi lo sosterranno militarmente?
C’è un memorandum of understanding per cui, se il governo di Tripoli ha bisogno, la Turchia è presente con droni e addestramento delle forze locali. Non ci sono soldati turchi, ma c’è un sostegno fattivo in questo senso. Certo è, comunque, che c’è un’apertura anche ad Haftar: la Turchia ha aperto un consolato a Bengasi. L’approccio turco, però, è teso alla normalizzazione della Libia. Tripoli non verrà abbandonata.
(Paolo Rossetti)
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