Il quarto film della saga "Jurassic World" va a ripescare elementi presenti nelle prime due pellicole di "Jurassic Park"

Da quando si è deciso di rilanciare il marchio Jurassic Park, nel 2015, con Jurassic World, sancendo un successo che non pare conoscere il minimo appannamento, la vera domanda che un appassionato si fa è quanto ci sia dello spirito di Michael Crichton (autore del romanzo di partenza e sodale di Steven Spielberg) in questi film. Al di là della riuscita “artistica” (discutibile, per non dire deludente), l’impressione è sempre stata che il rebranding abbia trasformato il prodotto in un qualunque film di mostri, superato in mero spettacolo titanico dai Godzilla giapponesi o statunitensi.

È il caso quindi di accogliere con una certa infantile gioia Jurassic World – La rinascita, quarto film dalla ripartenza e settimo totale della serie sui dinosauri, proprio in quanto l’unico, dopo quelli di Spielberg, a costeggiare lo spirito dei padri e a farne opera filmica.

Non è affatto un caso che a scrivere il film Jurassic World, diretto da Gareth Edwards, esperto di mostri cinematografici, sia tornato lo sceneggiatore dei primi due capitoli, ovvero David Koepp: la trama ruota intorno alla caccia che un team di ex-soldati, capeggiato da Scarlett Johansson, deve dare a tre particolari specie di dinosauri al fine di prelevarne del sangue essenziale per l’industria farmaceutica. Il tutto avviene a largo delle coste equatoriali, dove i pochi dinosauri superstiti si sono rifugiati.

Le ragioni del capitalismo e quelle dell’idealismo umanista si scontreranno, così come le diverse specie di giganteschi animali preistorici, esattamente come nei film precedenti si potrebbe pensare, ma c’è qualcosa di diverso in questa rinascita, ed è proprio nel modo di accostare l’avventura e la fantascienza, ripristinando un senso più “politico” della speculazione su futuro e tecnologia (i medicinali salvavita devono essere sviluppati dalle grandi aziende o da liberi ricercatori? È possibile una via “socialista” alla ricerca?), una genuinità di approccio che infatti vede i nostri eroi lontani da laboratori e parchi giochi, persi dentro la natura selvaggia, dentro il passato da cui scorgere il futuro.

E poi c’è la questione dello stile cinematografico, tutt’altro che secondaria in un giocattolone come questo, anzi: Edwards applica in modo convincente gli studi di mastro Spielberg, non solo citandolo lungo tutto il film (Lo squalo, Indiana Jones, Il mondo perduto che a sua volta reimmaginava Conan Doyle), ma soprattutto cogliendone la capacità di costruire eccitazione e suspense, lavorando sulle immagini “analogiche”, su ombre e luci, movimenti di macchina e montaggio, prima che su quelle digitali.

Jurassic World – La rinascita è un continuo, inesausto ed elettrizzante giro di giostra, purissimo cinema luna park, una montagna russa su grande schermo proprio come erano i due capostipiti della serie, di cui questo sembra essere il vero terzo capitolo, intelligente nel raddoppiare la linea narrativa (la famiglia in pericolo) e fondere due film in uno per non abbassare mai il ritmo.

Per qualcuno la serie Jurassic World non ha più niente da dire, e forse è vero, ma ha ancora qualcosa da dare, come mostrano le reazioni in sala e il continuo affetto degli spettatori.

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