LO STRANO CASO DEL CRISTIANESIMO “DI RITORNO” IN KOSOVO
«La Chiesa riparta da quel piccolo gregge di credenti»: la profezia dell’allora Cardinale Ratzinger sul futuro dell’Europa (e dell’Occidente) non è poi così molto lontana dall’attualità del mondo oggi, e casi come quello in corso in Kosovo possono rappresentare una testimonianza attiva di come è possibile crescere la fede senza alcun legame con il potere dominante. Davanti agli sconvolgimenti che sempre più interessano l’est europeo, con movimenti contrastanti pro/contro l’UE, con avvicinamenti alla Russia di Putin, sottende spesso anche una divisione religiosa e culturale che è ben oltre il confronto tra cristianesimo e Islam.
E così che un recente editoriale sul New York Times di Fatjona Mejdini e Andrew Higgins, che parla del particolare caso del “ritorno” della fede cristiana nel musulmanissimo Kosovo, riaccende il tema di cosa si intenda per identità religiosa e politica, di cose è ancora oggi la speranza cristiana e di quanto ancora sapienti l’estremismo ideologico in arrivo dal vicino Medio Oriente. Secondo quanto raccontato dal NYT lo scorso 4 gennaio, nel Paese al centro dei sconvolgimenti geopolitici verso la fine Novecento nelle guerre balcaniche – e oggi in aperto scontro con la vicina Serbia – vi sarebbe un piccolo movimento emergente di cristiani (tutti di origine albanesi) che in Kosovo pone all’attenzione dell’opinione pubblica la necessità di poter riaffermare un’identità cristiana per un Paese che ha una storia e una tradizione pre-islamica.
I TIMORI DELL’ESTREMISMO, L’IDENTITÀ EUROPEA E LA “PROMESSA” DEL CRISTIANESIMO: COSA STA SUCCEDENDO IN KOSOVO
Sebbene il piccolo Paese che ha ottenuto la piena indipendenza solo nel 2008 abbia un 93% di popolazione che si dice musulmana (nel censimento effettuato in Kosovo nella primavera del 2024), quell’1,75% di kossovari cattolici chiedono a gran voce che si possano far rivivere le tradizioni e gli usi cristiani dell’epoca pre-musulmana. L’obiettivo è duplice, spiega il NYT dopo aver analizzato a fondo (incontrando diversi protagonisti locali): da un lato il recupero del cristianesimo serve a riaffermare una propria identità valoriate più vicina all’Europa, dall’altro è una risposta spontanea davanti al timore del dilagare dell’estremismo religioso islamico.
È chiamato il “movimento di ritorno” dagli stessi cristiani kossovari, intenti a guardare alla storia del loro Paese pre-invasione dell’Impero Ottomano (prima del XIV secolo), molti convertiti al cattolicesimo dall’Islam: non si tratta di “cancellare” l’ultimo secolo di storia del Kosovo, ma semmai di recuperare un sistema di valori che guarda alla mitezza piuttosto che l’estremismo, al dialogo e all’apertura come testimonia il Vangelo stesso di Gesù. Come spiega un sacerdote intervistato dal quotidiano liberal americano, è giunto ora il momento «ritornare al luogo a cui apparteniamo: in Cristo». I venti freddi di un’Europa vista sempre più lontana (e secolarizzata), e di una Russia dilaniata al suo interno, con l’aggiunta di un Medio Oriente che ribolle e che rischia di riportare in auge nel Vecchio Continente l’estremismo violento, ecco che il “cristianesimo di ritorno” del Kosovo è un piccole lume di una speranza che non si spegne.
Sulla scia dell’amore e del dialogo incarnati da Santa Madre Teresa (i cui genitori erano originari del Kosovo), si guarda al cristianesimo come la possibilità di recuperare una cultura nazionale non ideologizzata e soprattutto non violenta: sebbene la convivenza sia abbastanza pacifica nel piccolo Paese balcanico, la reazione durissima del Gran Mufti del Kosovo (Naim Trnava) fa intuire come un’insofferenza anti cristiana resti sempre in modo strisciante: «la gente deve rimanere nell’Islam, il movimento cristiano minaccia l’armonia religiosa».