Il film "La misura del dubbio" diretto e interpretato da Daniel Auteuil non è il classico legal thriller in stile americano
La misura del dubbio è un film del 2024 diretto e interpretato da Daniel Auteuil, molto considerato in terra di Francia, un bravo attore, che un po’ per scelta e per mancate occasioni non ha mai fatto il salto nel cinema hollywoodiano, ma forse è meglio così.
Il film non è un legal thriller stile americano, non abbiamo colpi di scena o battibecchi cruenti tra avvocati. Attrae perché si coglie lo stato d’animo di un avvocato, Jean Monier (Daniel Auteuil), con i suoi dubbi, il suo coinvolgimento emotivo, le sue paure e la sua storia. Da quindici anni non entra in Corte d’assise, dopo che ha difeso e fatto assolvere un uomo imputato per diversi delitti, ma che poi dopo altri omicidi si scoprirà sia sempre stato colpevole. Si trova a difendere casualmente come difensore d’ufficio un padre di cinque figli accusato di aver ucciso la moglie, una donna alcolizzata che spesso abbandonava la famiglia.
Nicols Milik (Gregory Gadebois) si dichiara innocente, è considerato un bravo padre, che accudiva amorevolmente i figli. Insieme a lui è accusato dell’omicidio l’amico barista Roger Marton (Gaetan Roussuel). Non vi è la prova materiale, ma le varie testimonianze fanno sì che il giudice condanni Milik a vent’anni di carcere, mentre prima delle udienze Roger è morto in carcere.
Due sono chiaramente le figure centrali del film, Milik e l’avvocato Monier. Si confrontano spesso nei colloqui in carcere, l’imputato si discolpa, ha sempre accudito i figlioli sopperendo la mancanza della madre, sembra il pover’uomo entrato nel tritacarne della giustizia.
Jean Monier si adopera nel suo mestiere di avvocato, ha il senso di colpa dall’aver portato all’assoluzione un criminale, vuol andare al fondo per eliminare ogni dubbio della colpevolezza di Malik. Ed evitare un altro errore giudiziario. Si reca nel paesino dell’imputato, sulla panchina dove dormiva di notte la moglie quando era ubriaca, incontra la sorella della morta, interroga i testimoni del bar. Vuole fugare ogni dubbio e si immerge come Maigret (perdonatemi l’accostamento) fa nelle sue inchieste, nel clima umano del paese e nella vita delle persone.
Il dubbio è ciò che lo attanaglia e il titolo italiano La misura del dubbio è veramente azzeccato, contrariamente a quello France originale Le Fil, riferito a un filo della giacca di Malik rimasto sotto l’unghia della moglie.
L’avvocato Monier vuol essere certo che l’uomo che sta difendendo sia innocente. La sua compagna, anch’ella avvocato, vedendolo così coinvolto gli dice: Chi ti chiede di salvarlo? Ti si chiede solo di difenderlo. Chi ti credi di essere, l’Onnipotente?
Non svelo il finale, che però è facile da prevedere e c’è un sotto-finale inaspettato che conclude il film.
Daniel Auteuil è magnifico. È corroso dalla colpa, deciso a risolvere i dubbi, esterna ciò negli sguardi intensi degli incontri con Malik, nell’essere assorto nei pensieri mentre guida e l’interpretazione fa capire bene la sua immedesimazione umana. La contrapposizione, mentre è nel silenzio dell’auto, sono i paesaggi della quieta Camargue che svelano il suo desiderio di risolvere bene il caso e di quietare la sua coscienza.
Anche Gregory Gadebois (Nicols Milik nel film) esprime ottimamente il disagio e la disperazione di chi si professa innocente.
Presumo che il lavoro di avvocato penalista sia veramente duro e difficile, non oso pensare come non ci si possa coinvolgere nei casi efferati di omicidio e ce ne sono tanti come constatiamo dalla realtà.
Il film è posto su tutte le piattaforme streaming a noleggio a pochi euri.
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