Papa Leone XIV, con un motu proprio, ha tolto allo Ior l'esclusiva sugli investimenti del patrimonio del Vaticano
Il motu proprio con cui papa Leone XIV ha tolto allo Ior l’esclusiva degli investimenti del patrimonio della Santa Sede non fa una grinza sul piano tecnico.
Un asset manager (un gestore di attività finanziarie) è cosa ben diversa da una banca. Ai corsi di Finance della Villanova University – dove papa Prevost si è laureato in matematica – boccerebbero uno studente del primo anno che confondesse i due intermediari finanziari. Ma ormai qualunque correntista bancario, per quanto piccolo, sa che il suo conto (un tempo contenitore unico di tutto il suo “risparmio”, al massimo ricollocato in titoli di Stato) oggi serve quasi esclusivamente come strumento di pagamento.
A chi voglia impiegare il suo risparmio sul mercato, la banca consiglia e offre prodotti di asset management (quote di fondi, polizze o altri strumenti) gestiti da società del suo gruppo o anche esterne; oppure presta al cliente servizi di brokeraggio e custodia per comprare direttamente in Borsa azioni, titoli di Stato, obbligazioni societarie e quant’altro. E sul mercato ogni piccolo risparmiatore o grande capitalista può scegliere fra migliaia di supermercati o boutique diversi.
La stessa articolazione istituzionale della Santa Sede è stata storicamente modellata su questa distinzione. Il patrimonio di proprietà vaticana (che ha assunto dimensione e complessità grazie agli indennizzo giunti dallo Stato italiano con i patti del 1929) è stato affidato a un’amministrazione speciale (Apsa).

L’Istituto per le Opere di religione è nato nel 1942 con il format di banca: istituzione di cui la Santa sede era del tutto sprovvista (come anche di una propria moneta). Al di là del nome e degli statuti – che sono stati alla prova dei fatti fonte periodica di equivoci pericolosi – la missione basica dello Ior non era quella di investire il “patrimonio della Sede apostolica”, ma quello di costituire un hub bancario con sede in Vaticano, aperto a una vasta platea di soggetti della Chiesa che non desiderassero far transitare la propria finanza per banche “laiche” nei diversi Paesi.
Il motu proprio del Papa – alle prese con le sue prime scelte di peso dopo l’elezione – segna certamente un cambiamento importante: ma principalmente chiarendo alle due entità finanziarie vaticane il loro ruolo “da manuale”. Le invita a collaborare, ma concentrandosi su funzioni che erano e restano connaturalmente diverse.
Ciò che continuava a non essere “sano e prudente” – per usare il gergo dei tecnici della supervisione bancaria – era una situazione di confusione di ruoli fra Apsa e Ior (che vanta annali fin troppo turbolenti) all’interno della più ampia gestione finanziaria della Santa Sede (uno Stato sovrano centro di gravità della Chiesa universale). Un sistema che include l’Obolo di San Pietro e la stessa redditività dello Ior.
All’ultimo conclave un cardinale è stato escluso perché coinvolto in un cattivo e opaco investimento di capitali della Santa Sede. Nel maggio scorso non avrebbe potuto entrare nella Cappella Sistina, per ragioni di età, un altro cardinale: già morto un anno e mezzo prima, dopo essere stato prima “Segretario all’Economia” a Roma e poi incarcerato e infine prosciolto nel suo Paese dopo un controverso processo per presunti abusi sessuali.
Non c’è dubbio che il Pontefice eletto dall’ultimo conclave abbia fra le sue priorità quella di sciogliere i nodi profondi – strutturali – che quelle vicende hanno provocato e aggravato.
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