Cinque estinzioni in mezzo miliardo di anni, e la sesta, secondo gli esperti, potrebbe non essere così lontana. Elizabeth Kolbert, scrittrice ed esperta di clima del New Yorker, vincitrice del Premio Pulitzer nel 2015 con un libro sui comportamenti dell’uomo e del suo modo di rapportarsi alla terra, ha parlato sulle pagine de Il Messaggero dei cambiamenti climatici che imperversano e spaventano. Pochi giorni fa, torrenti di acqua e fango hanno devastato lo Yellowstone. Domenica, l’Italia – e non soltanto – ha pianto le vittime della Marmolada. A leggere i report dell’Onu, la situazione è spaventosa.
Elizabeth Kolbert ne ha parlato così: “Siamo al limite e sicuramente il mondo deve azzerare le emissioni il più rapidamente possibile per contenere il riscaldamento del pianeta che è quello che poi provoca scioglimenti, innalzamento del livello dei mari, incendi devastanti. Ci vuole realismo, dobbiamo accettare e convivere con la realtà per quella che è. E adeguare i nostri comportamenti: non costruire edifici in alcune zone, non fare certe escursioni. Sono solo esempi, e mi rendo conto che è più facile a dirsi che a farsi e che sia difficile cambiare il nostro stile di vita e le abitudini”.
Klobert: “I giovani e i leader mondiali”
Le nuove generazioni, secondo Klobert, sono più ricettive. Ad esempio “Greta che non prende l’aereo è un segnale importante, le dà credibilità”. Questo però non basta: “Fra i ragazzi c’è la convinzione che si debba fare qualcosa e percepisco in questa generazione una predisposizione a fare ciò che serve. Ma il livello di quel che conta per la salute del pianeta è ben oltre questo spirito”. Dopo l’accordo di Parigi alla Cop26 di Glasgow, molti leader mondiali si sono mobilitati: “Senza i grandi ogni sforzo sarebbe inutile, fra l’altro il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres così come l’Amministrazione Biden sono molto attivi e hanno messo nero su bianco impegni e tradotto in concreto molte iniziative. Sanno esattamente qual è la posta in palio”.
Grande responsabilità, la scrittrice la attribuisce all’inflazione, che porta ad un consumo spropositato di materie come il carbone: “Non è giusto nemmeno scaricare le colpe sulle cosiddette lobby e sugli interessi legati per esempio al business del carbon fossile. Alla gente, a noi stessi, non fa piacere vedere schizzare in alto i prezzi della benzina. Potrebbe essere in realtà una chance, salgono i prezzi e si accelera l’uscita da quel tipo di energia. Invece l’inflazione sta erodendo i nostri stili di vita e così si brucia ancora più carbone e si estrae ancora di più per cercare di tenere bassi i prezzi”. Per uscire da questo circolo vizioso “Dobbiamo riconoscere che è difficile trasformare di colpo l’intera economia. Ogni Paese industrializzato oggi si regge sul carbon fossile e per rivedere questa dipendenza serve sia una gran lavoro sia una buona dose di volontà politica. Le cose devono andare a braccetto”.