In Messico ogni anni migliaia di bambini sono reclutati, abusati e sfruttati. Ma una umanità diversa è possibile. L’esperienza delle Case Hogar
“Il Messico, 15esima economia mondiale con 133 milioni di abitanti, detiene il primato, tra i Paesi sviluppati, per bambini maltrattati e con abbandono scolastico” (OECD). “Ogni anno 35.000 bambini tra 9 e 11 anni vengono cooptati dai cartelli Narcos per ricoprire ruoli come vedette, sicari, trasportatori di droga/armi e per sfruttamento sessuale” (Reinserta). “Circa 3,7 dei 36,3 milioni di bambini messicani lavorano in strada, rappresentando il 50% del lavoro infantile in America Latina; nel 2023 20.500 bambini hanno ricevuto cure ospedaliere per violenza sessuale domestica” (INEGI). In questo scenario apocalittico, cosa si può fare?
Alle 5:30 suona la sveglia. È ancora buio. Accendo la luce. Il dormitorio dei bimbi sembra uno spazio surreale: come se sopra ognuno di loro andassero in scena i sogni che li accompagnano la notte. Vedo qualcuno muoversi, altri respirare sereni, altri del tutto coperti. “¡Buenos días, chicos! ¡Vamos con un nuevo día, tentando al futuro con el corazón!”
Qualcuno si stropiccia gli occhi, un altro si nasconde sotto il cuscino cercando un ultimo minuto di sonno. A tutti strappo un sorriso, anche solo con un po’ di solletico che dirama energia in tutto il corpo.
Li accompagno a scuola. Ritornano alle 14. Si pranza con quello che si mette insieme dalle donazioni del mattino, poi si lavora per la casa: giardinaggio, pulizie, piccole riparazioni. Seguono i compiti e, a giorni alterni, falegnameria o calcio. Dopo cena (spesso con latte, pane e fagioli) un momento di ricreazione; infine, una doccia e poi tutti a dormire.
Spengo la luce. Si addormentano uno dopo l’altro con un racconto in sottofondo. Cammino tra i letti e gli aneddoti della giornata risuonano nella mente. Pato, a 10 anni, ha finalmente imparato a leggere: che gioia immensa! José, due anni fa abusato sessualmente con i suoi fratellini, oggi ha salvato un uccellino caduto dal nido.
Iván, la cui anima si è spenta da quando la mamma l’ha abbandonato, passa la ricreazione in solitudine. C’è Juan che sotto la doccia imita Pavarotti, e Carlos, con la risata contagiosa e le movenze buffe, è la persona più divertente che abbia mai conosciuto.
Poi Said e Mateo, che sono andati via, i cui problemi di controllo di impulsi violenti e ipersessualizzazione hanno superato le nostre forze. Improvvisamente sento un pianto sommesso. È Pedro, infuriato con sé stesso e una vita che non l’ha mai fatto sentire amato, abbandonato sul ciglio della strada da piccolo. Mi avvicino e lo consolo.
Questa è una Casa Hogar. Un rifugio sicuro che salva bambini abbandonati, destinati a perdersi vivendo di ciò che la vita gli offrirà a “basso prezzo”. Qui trovano una protezione fisica dal reclutamento dei Narcos e dalle violenze familiari, una continuità educativa per poter realizzare i propri sogni e un supporto psicologico per rompere il ciclo del trauma.
In Messico esistono solo 946 case-famiglia (di cui 729 private) che ospitano 53.862 bambini e adolescenti dei 3,7 milioni che non vanno a scuola, senza considerare che il 50% vive in totale povertà.
Guardando i numeri, c’è ancora molto da fare. Tuttavia, la portata straordinaria e salvifica di una Casa Hogar è evidente, non solo per le vite dei bambini ma per la società che li riconosce cittadini. Questo è un progetto di enorme valore politico nella prevenzione e salvaguardia di un bene comune: le future generazioni.
Sul piano pedagogico, gli educatori delle case-famiglia hanno la straordinaria opportunità di superare la standardizzazione delle scuole di massa. Lì i programmi sono spesso rigidi, improntati a una didattica tradizionale, come se l’obiettivo fosse plasmare i giovani, da originali e creativi che nascono, in copie di schemi predefiniti. Le scuole rischiano di perdere il loro ruolo di centri d’innovazione, incapaci di affrontare le esigenze reali dei figli del nuovo secolo. Nelle case-famiglia, invece, gli educatori possono aggiornare le attività didattiche in base alle necessità concrete di ogni bambino e adolescente, offrendo risposte attuali e personalizzate.
L’impatto della casa ha un’influenza profonda non solo sui bambini, ma anche sulle loro famiglie. Queste, non avendo le possibilità per crescere i figli, si affidano all’esperienza degli educatori e seguono un corso di formazione settimanale nella stessa struttura che fornisce risorse psicologiche e educative. Grazie a questa collaborazione, è più probabile che i bambini, tornati a casa nel fine settimana, ricevano un accompagnamento secondo le indicazioni imparate e non ricadono nel circolo vizioso di un ambiente pericoloso e nocivo.
Mi domando spesso se sia un problema solo del Messico. Mi chiedo se anche in Italia le preziose realtà delle comunità educative/alloggio esistenti possano riceve un maggiore sostegno e una più incisiva promozione dalle istituzioni per affrontare problemi urgenti e in crescita come l’arruolamento di minori nella criminalità organizzata, le violenze domestiche e l’abbandono scolastico.
Un grido si leva dalla realtà, dalle periferie, dai bambini: vogliono un mondo migliore, più accogliente, comprensivo, dove nessuno sia lasciato indietro. Un mondo dove tutti si sentano protetti, parte di una famiglia, insomma un mondo in cui siamo fratelli tutti. E noi, di fronte a un mondo che soffre, cosa stiamo aspettando?
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