LAVORO E POLITICA/ Formazione, gli aggiustamenti da fare per una vera occupabilità
Due studi sul nostro sistema di formazione professionale e le politiche del lavoro contengono osservazioni molto interessanti

Con un’interessante iniziativa, il Centro nazionale Opere salesiane ha presentato a Roma, l’11 dicembre, due studi sul nostro sistema di formazione professionale e le politiche del lavoro. Uno studio (“L’istruzione e la formazione professionale tra regionalismo e unitarietà” di G. M. Salerno) teso a valutare la coerenza fra politiche regionali e norme nazionali in materia di IeFP, con l’altro (“Politiche della formazione professionale e del lavoro”, curato da PTSCLAS SpA con CNOS – FAP) prosegue l’analisi delle iniziative delle singole regioni sulla base della spesa in formazione professionale e politiche per il lavoro.
In sintesi potremmo dire che non vi sono mai state così tante risorse economiche disponibili, ma siamo ancora lontani dall’avere un modello unitario capace di integrare formazione professionale e politiche attive del lavoro. Lo scenario complessivo è ancora instabile, disomogeneo nei diversi territori regionali e con ancora troppi interventi che rispondono a logiche di intervento temporanee a non alla costruzione di un sistema permanente di servizi.
Nel 2018 sono stati spesi complessivamente 2,4 miliardi di euro. Di questi 1,3 miliardi per politiche formative e 1,1 miliardi per politiche del lavoro. Rispetto all’anno precedente vi è stato un aumento del 12% delle risorse economiche investite complessivamente, servite a finanziare oltre 300 avvisi di misure per formazione e lavoro (erano 230 l’anno precedente).
Le risorse sono principalmente da fonte europea (il 55% per la formazione e oltre il 60% per le politiche attive), oltre a risorse nazionali e regionali (queste ultime soprattutto per la formazione). Nella formazione il 65% sono per il sistema formativo ordinamentale (90% per IeFP, 3% per IFTS e il 7% ITS) e il 26% per corsi non ordinamentali (soprattutto formazione permanente).
Il dato positivo dell’analisi dei corsi del 2018 è l’affermarsi e l’estendersi del sistema duale. I percorsi di studio con quota significativa di formazione in azienda si è esteso e consolidato in tutte le regioni che più hanno creduto nella formazione professionale come secondo canale scolastico, a tutti gli effetti efficace quanto il sistema scolastico tradizionale. Anche i dati emersi dal monitoraggio Inapp hanno confermato una occupabilità del 70%. Purtroppo pesano ancora fortemente gli squilibri territoriali nord-sud e non tutte le regioni hanno sviluppato tutti e tre i livelli di formazione trascurando così le passerelle di passaggio dal sistema professionale al sistema scolastico o universitario. Il mancato sviluppo del sistema di formazione professionale sta alla base del ritardo con cui crescono i numeri dei contratti di apprendistato. Solo quando diventeranno, assieme al sistema duale, percorsi di studio svolti alternando impresa e aula, diventeranno reali contratti di lavoro a sostegno della formazione per quelle figure professionali che mancano e che possono formarsi solo sommando percorsi pratici a percorsi teorici.
Per quanto attiene le politiche del lavoro, emerge subito come siamo ancora lontani dal considerare i servizi in questo campo un diritto da assicurare in modo universale come il diritto all’assistenza sanitaria. L’analisi dei servizi offerti mostra come ancora nel 2018 ben il 40% dei bandi riguardava servizi a progetto e solo il 60% servizi cui possono accedere i disoccupati sulla base delle profilazioni operate dalle regioni. La modalità “a progetto”, oltre a spezzettare i servizi offerti alle varie categorie di disoccupati, richiede lo svolgimento di una serie di gare, con relative istruttorie, che rallentano i processi di erogazione dei servizi e aumentano i costi di gestione. Anche per le regioni dove la scelta “a bando” si innesca su una rete di servizi accreditati (una sorta di sistema “misto”) vi è una minore efficacia nelle misure messe in campo.
Ultima annotazione riguarda le difficoltà create dalla sovrapposizione che il reddito di cittadinanza, una politica contro la povertà, ha creato, attraverso l’inserimento dei navigator, nelle politiche attive regionali che non avevano ancora creato una stabile struttura di servizi territoriali per il lavoro.
L’analisi svolta sull’integrazione fra normativa regionale per l’istruzione professionale e indirizzi nazionali porta a giudizi negativi che lasciano poco spazio all’ottimismo. In punta di diritto va sottolineato come ancora oggi la maggior parte delle regioni non hanno legiferato sulla materia della IeFP o hanno leggi precedenti alla riforma costituzionale del 2001 con la quale si regionalizza la responsabilità nel settore dell’istruzione professionale.
È da qui che derivano carenze e ritardi di molte regioni nel creare un vero sistema professionale che risponda anche al mismatching delle professioni che è ormai rilevato in tutti i territori. Ma come bene mette in luce il curatore del volume, lo squilibrio esistente fra le diverse regioni indica una diseguaglianza nell’accesso al diritto all’istruzione che contraddice la nostra Costituzione. Una buona politica partirebbe da questa radicale osservazione per mettere da parte egoismi territoriali e corporativi e mettere al centro il diritto allo studio 4.0.
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