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Home » Lavoro » LAVORO E POLITICA/ La “bolla” del Governo che disincentiva le assunzioni

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LAVORO E POLITICA/ La “bolla” del Governo che disincentiva le assunzioni

Natale Forlani
Pubblicato 13 Luglio 2020
lavoro_donna_carrello_lapresse

Lapresse

Nel decreto rilancio si interviene sui contratti a termine in un modo che non aiuta però a incentivare la creazione di nuova occupazione

Nella fase di conversione in legge del decreto rilancio è stato inserito un emendamento, l’art.93 bis, finalizzato a disporre una proroga automatica dei contratti a termine in scadenza al 30 agosto 2020, per il periodo equivalente a quello dell’inattività produttiva disposta in via amministrativa per l’attuazione delle misure di distanziamento anti-Covid.


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Per comprendere meglio il significato della novità introdotta è necessario ricordare che i due decreti, quello varato nel mese di marzo, noto come “cura Italia”, e il citato decreto “rilancio” avevano disposto una proroga automatica, ovvero il rinnovo, per i contratti a termine in vigore al 23 febbraio u.s. sino alla data richiamata. Una scelta dettata dalla necessità di evitare l’espulsione dal mercato del lavoro dei lavoratori a termine, compresi quelli stagionali e in somministrazione e per consentire agli stessi di accedere ai provvedimenti di sostegno al reddito previsti per il complesso dei lavoratori dipendenti.


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Nell’assumere questo orientamento il legislatore ha disposto, come logica conseguenza, di sospendere le varie obbligazioni in capo ai datori di lavoro, come quella di specificare le causali per l’utilizzo dei contratti a termine per quelli superiori ai 12 mesi, ovvero per i rinnovi destinati a superare i 12 mesi di utilizzo complessivi, e del rispetto dei periodi temporali che devono intercorrere tra le scadenze e i rinnovi dei contratti stessi. Vincoli introdotti con il DL 87/2018, meglio noto come Decreto dignità, oggetto di molte contestazioni da parte dei datori di lavoro per via delle potenziali incertezze interpretative riguardo l’oggetto delle causali.


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La novità introdotta con l’art. 93 bis, disponendo un’ulteriore proroga dei contratti a termine in scadenza al 30 agosto p.v. per un periodo corrispondente a quello dell’inattività aziendale, tende di fatto a consolidare gli effetti della scelta precedentemente operata per la durata definitiva dei contratti e della moratoria sulle obbligazioni dei datori di lavoro. E, in parte, anche per la possibilità dei lavoratori interessati di rivendicare il diritto di precedenza per le eventuali assunzioni da parte del medesimo datore di lavoro, per il numero massimo consentito delle proroghe dei contratti, pena l’assunzione a tempo indeterminato degli stessi lavoratori.


LAVORO E POLITICA/ La "bolla" del Governo che disincentiva le assunzioni


La scelta operata presenta dei problemi di carattere interpretativo e di valutazione generale della sua congruità rispetto alla reale condizione del mercato del lavoro. La definizione del periodo di inattività al quale ancorare la proroga automatica dei contratti è molto ambigua. Può riferirsi all’equivalente del periodo del blocco amministrativo, ovvero a quella dell’interruzione collettiva delle attività effettivamente disposta dalle singole imprese, con l’utilizzo delle casse integrazioni, e persino alle interruzioni che hanno riguardato i singoli lavoratori interessati. A tale proposito sarebbe quanto mai opportuno un chiarimento immediato da parte del ministero del Lavoro. Ma l’effetto più preoccupante riguarda le conseguenze sulle scelte che verranno operate dalle imprese in un momento di gravi incertezze economiche, che si rifletteranno sulle scelte relative alle assunzioni e dismissioni del personale.


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Reintrodurre le causali sull’utilizzo dei contratti a termine nelle condizioni di una difficile programmabilità delle attività produttive comporterà in prima istanza il rischio di un mancato rinnovo per molti dei contratti a termine eccedenti i 12 mesi di utilizzo complessivo dei singoli lavoratori. In via generale un disincentivo per le imprese a utilizzare i contratti a termine, riducendo in modo significativo buona parte della domanda di lavoro possibile in un periodo di recessione economica.

In buona sostanza verrebbero esasperati i difetti già evidenziati nel recente passato sull’attuazione del Decreto dignità. Che ha favorito, grazie anche agli incentivi contributivi introdotti per lo scopo, la stabilizzazione di una parte residuale dei contratti a termine in essere, provocando nel contempo un aumento del turnover dell’utilizzo dei contratti della durata di pochi mesi. Una scelta del tutto incomprensibile che ha privilegiato le ragioni di bandiera del M5S rispetto al sano realismo che dovrebbe caratterizzare le scelte di chi è chiamato a governare le implicazioni della recessione economica in atto sul mercato del lavoro.


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Come già avuto modo di evidenziare in un precedente articolo, con questa decisione, unitamente a quelle di prorogare il blocco dei licenziamenti e l’utilizzo delle casse integrazioni sino al 31 dicembre p.v., si completa il trittico dei provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare la crisi occupazionale. Destinati, da un lato, a gonfiare nel tempo in modo artificiale una bolla di potenziali licenziamenti, e a impedire l’adeguamento delle organizzazioni del lavoro alle nuove condizioni del mercato, e da un altro, a disincentivare le assunzioni possibili.

L’attuazione del manuale di cosa non bisognerebbe fare nel contesto di una grave crisi economica.

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