La decisione di chiudere ogni scuola e università per 15 giorni su tutto il territorio nazionale ha mostrato che si ritiene di essere di fronte a un rischio per cui decidere di limitare le libertà individuali non è più una semplice opzione teorica. Si è arrivati a questa decisione attraverso un percorso caratterizzato da errori di comunicazione, confusione decisionale, approssimazione, sovrapposizione di poteri e tralascio i fenomeni di sciacallaggio politico di chi ha giocato al continuo rilancio di richiesta sia di misure più drastiche, sia di interventi economici fantasiosi. La mancanza di lucidità e di leadership di chi dovrebbe avere il ruolo di guidare il Paese è evidente. Solo il Presidente Mattarella è riuscito a interpretare lo sgomento con cui tutti abbiamo seguito in questi giorni il sommarsi di decisioni e ha tranquillizzato e indirizzato la responsabilità a cui tutti siamo chiamati.
È evidente infatti a tutti che stiamo combattendo una battaglia su più fronti. Da un lato c’è il virus e la necessità di misure di prevenzione, profilassi e di cura che dobbiamo applicare e seguire. Ma altrettanto pericoloso è il nemico “paura” che indebolisce gli individui e porta a isterismi collettivi. Su questo fronte per ora si stanno perdendo tutte le battaglie. Le debolezze che attraversavano la nostra società e le nostre istituzioni sono state portate in primo piano dalla sfida del rischio epidemia e oggi ci troviamo debolissimi nell’immaginare come costruire una risposta collettiva capace di mobilitare verso uno scopo comune le pur tante risorse positive che il nostro Paese ha e avviare un progetto comune di ripresa nell’immediato futuro.
Vi è poi il fronte economico che è diventato negli ultimi giorni quello che, secondo i sondaggi, più preoccupa la gente. Vi è ormai più paura degli effetti economici della crisi indotta dal virus che degli effetti sanitari portati dal possibile contagio. Nonostante i richiami dei sondaggi, ma basterebbe ascoltare quanto si dicono i pochi avventori che possiamo incontrare nei bar, la discussione appare ancora stentata e soprattutto incapace di cogliere la drammaticità di quanto sta avvenendo e delle conseguenze che avremo per i prossimi mesi.
Ricordiamoci quale è la struttura economica e occupazionale del nostro Paese. Il 99,9% delle imprese italiane sono PMI, il 94,9% sono micro imprese con meno di 10 dipendenti, il 4,5% sono sotto i 15 dipendenti e solo lo 0,1% delle imprese italiane sono oltre i 250 dipendenti. Questa struttura delle imprese private (industria, costruzioni, commercio e servizi) porta a una distribuzione degli occupati che risultano per il 22% impiegati in grandi imprese (circa 3,3 milioni di lavoratori) e per il 78% occupati nelle PMI (circa 11,7 milioni di lavoratori). Va poi rilevato che ben 6,8 milioni di persone sono occupate da imprese sotto i 10 dipendenti (sono ben il 44,9% degli occupati, mentre in Europa sono meno del 30% gli occupati in questa fascia di imprese). A questi dati dovremmo sommare il settore agricolo e aggiungere una stima di quanti lavoratori con contratti deboli o in nero ruotano intorno ai settori più fragili.
Per ora la risposta che si è iniziata a dare è la garanzia che nelle zone più colpite sarà assicurato l’uso della cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Sarà estesa per settori e dimensione di impresa per coprire anche chi normalmente ne sarebbe escluso. A ciò si è aggiunto un sostegno al reddito per i lavoratori autonomi. Queste misure sono state avanzate da chi si occupa del sistema delle imprese e delle crisi aziendali. Silenzio per ora dal ministero del Lavoro. Tutti gli esperti che di fronte alle riforme del mercato del lavoro introdotte negli ultimi anni si opponevano in nome della difesa dei “precari” e dei nuovi poveri sono ora silenziosi o scomparsi dalla scena.
Così come per la ripresa dell’economia dobbiamo fin da ora immaginare uno straordinario impegno a sostenere la domanda di investimenti e consumi, dovremo compiere uno sforzo eccezionale per rilanciare turismo e ospitalità, vi è altrettanto bisogno di una progettazione straordinaria di misure nuove a sostegno di chi sta perdendo il lavoro. Dobbiamo pensare a provvedimenti che partano dagli ultimi, da tutti coloro che hanno lavori con tutele minime e sono già oggi fuori dal lavoro. Se si proseguirà con provvedimenti che trasmettono l’idea che l’Italia è un grande lazzaretto avremo una crescita di disoccupati con tassi superiori all’estendersi del virus.
Dobbiamo mettere da parte gli strumenti tradizionali degli ammortizzatori sociali e impegnare le risorse in un “progetto lavoro” che offra a tutte le persone escluse dal mercato un’opportunità di reddito, ma anche di costruzione di un nuovo inserimento nel mondo del lavoro. Lavori socialmente utili, formazione per accrescere occupabilità e capitale umano, formazione per passare a imprese 4.0. Non si tratta di offrire mance o lavoretti, ma dare una concreta speranza per il futuro, pena reinnescare processi di rabbia sociale che esploderà dopo la paura di questo periodo.
Contro il dilagare dell’irrazionalità individuale e collettiva di questi giorni c’è bisogno di risposte che restituiscano a tutti la capacità di essere realisti, per fronteggiare quanto avviene ma soprattutto per continuare a desiderare di costruire un futuro migliore per tutti.