Milano dovrebbe tornare a essere capitale dell'inclusione attraverso il lavoro. Per questo servirebbe un importante patto sociale

Il palcoscenico di un teatro accoglie lo spettacolo. Protagonisti sono gli attori. Ma il teatro non è solo il palco nella sua parte offerta al pubblico, lo è anche il retro con quanti collaborano a cambiare le scene, a preparare gli attori e ad allestire ogni sera il teatro per la recita e per accogliere i visitatori. Sono loro che vivono nel teatro e lo fanno quotidianamente funzionare con il loro lavoro perché attori e pubblico possano trovare la migliore condizione.



Proviamo a immaginare che l’intelligenza artificiale, una nuova tecnologia, il costo dei viaggi o la riduzione degli spazi rendano sempre più difficile la presenza di quanti il teatro lo lavorano. Iniziano a diminuire progressivamente di numero fino a scomparire.

Proviamo a pensare come prendono coscienza di quanto sta avvenendo nel loro lavoro, a come cercano di trovare risposte per affrontare un cambiamento che li vede soccombere. Eppure sanno che senza di loro non sarà più teatro. Perché come tutti i lavori è la relazione fra tutti quelli che realizzano l’insieme che crea il “miracolo” fatto di arte della recitazione, della creatività e della professionalità delle tante competenze che collaborano.



Insomma, la speranza ci dice che sicuramente verrà di nuovo la primavera, ma intanto è autunno ed anche più freddo del solito.

Il clima delle discussioni dei milanesi durante l’ennesima e spettacolare settimana del mobile e del design ricorda quanto passa per la testa dei lavoratori del teatro all’avvio della crisi. C’è sicuramente tutto l’orgoglio meneghino perché anche questa volta abbiamo attratto persone da ogni parte del mondo. Siamo di nuovo riusciti a presentare una rappresentazione di industria, creatività e capacità di innovazione unica. Nello stesso tempo le discussioni a tavola dei milanesi sono rivolte al futuro. I successi pure in corso non bastano a dare certezze che Milano sia realmente in grado di trovare una sua via di “salvezza” rispetto ai colpi del giustizialismo e alla necessità di trovare un nuovo equilibrio economico.



La questione degli interventi della magistratura con il blocco di fatto delle iniziative edilizie pesa nel determinare un clima generale di incertezza. In assenza di pistole fumanti non si capisce perché non si possa trovare una soluzione che passi trasparentemente per accordi che salvaguardino il diritto alla casa delle molte famiglie coinvolte e l’interesse pubblico legato al calcolo di oneri pubblici da recuperare.

Ciò si aggiunge però a una situazione di disagio generalizzato che potremmo riassumere in una sensazione di tradimento da parte della città. Milano è sempre stata la città dell’inclusione attraverso il lavoro. Se lavorare non basta più per vivere a Milano si rompe la caratteristica principale che ha fatto di questa città un esempio cui si sono ispirate altre importanti città europee.

I salari rimasti indietro rispetto a inflazione e crescita dei costi dei servizi, la crescita del mercato immobiliare lasciato alla finanza internazionale senza attenzione all’edilizia popolare e convenzionata sono le due cause principali per cui molti posti di lavoro pur disponibili non trovano candidati. Sia nuovi posti di lavoro nel pubblico impiego che in molte imprese private restano scoperti. Non bastano certo le posizioni per professionisti a sopperire ai problemi posti dai molti giovani che cercano soluzioni all’estero o con il ritorno in zone meno costose.

In questo clima si forma poi una domanda di protezione che sfocia nella percezione accentuata di tutti i disagi del vivere metropolitano. Dalla sicurezza al traffico, dal trasporto pubblico agli orari dei servizi pubblici tutto diventa motivo di protesta e di intolleranza.

Ogni singolo problema merita certamente una risposta specifica. La sicurezza chiede più illuminazione, misure di sicurezza nei quartieri, lotta agli scippatori professionisti. La degenerazione delle consegne a tutte le ore ha un impatto sul traffico che richiede nuove regole. Ma occorre soprattutto una risposta comune, la capacità di indicare un obiettivo capace di mobilitare quanti sono disposti a impegnarsi perché la città recuperi la sua capacità inclusiva.

Sulla casa si è iniziato un percorso che fa leva sulla possibilità di realizzare alloggi a proprietà indivisa con un costo di affitto compatibile con i salari esistenti. Si è perciò scommesso sulla presenza di realtà economiche e associative che assieme al Comune possono trovare nuove soluzioni per il problema casa.

Nei servizi di accoglienza per le persone il mondo del Terzo settore da tempo dimostra la sua capacità di essere promotore di innovazione e inclusione a fianco dell’amministrazione locale. Allora la risposta possibile passa per la capacità di avere una proposta per la Milano che vogliamo, la città che torna a essere capitale dell’inclusione attraverso il lavoro.

Se questo è l’obiettivo condiviso serve un patto fra istituzioni, sindacati e rappresentanze delle imprese, Terzo settore e forze politiche perché avviino da subito una contrattazione territoriale che promuova in modo sussidiario le forze della società a proporre e realizzare un nuovo progetto sociale.

Il giusto salario, un nuovo rapporto con il lavoro, servizi di politiche attive per chi arriva al mercato del lavoro e per chi non ne vuole essere espulso trovano la ragione per essere adeguati alla vita della grande Milano, perché la soluzione non è dentro le mura, ma nella più grande area metropolitana. Serve decisione e la spinta per uscire da un sentiment che per ragioni locali e internazionali rischia di far prevalere un pessimismo passivo rispetto all’attivismo della speranza.

Usiamo questi giorni di successo del salone per far sì che il teatro del prossimo anno veda la partecipazione di tutte le competenze utili e uno spirito di realizzazione ancora maggiore.

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