I sindacati temono che la falcidia dei tagli della spending review possa abbattersi pure su di loro. Nel dossier che sta mettendo a punto Giuliano Amato sui costi della politica, un capitolo sarebbe dedicato proprio ai 151 milioni di euro circa che, secondo la Corte dei conti, costituirebbero il costo dei distaccamenti sindacali. Contestualmente, potrebbero essere presi di mira anche i Caf. Per la seconda volta in meno di un anno. Dopo il taglio del 20% ai compensi relativi alle dichiarazioni dei redditi effettuate per conto dell’Inps, potrebbe arrivare l’ennesima decurtazione. I patronati, infine. Complessivamente, per loro sono messi a disposizione 400 milioni di euro, erogati sulla base di quanti usufruiscono dei loro servizi. Anche in tal caso non è esclusa una riduzione delle loro risorse. Il veicolo di queste operazioni potrebbe essere il temutissimo decreto d’agosto finalizzato a ridimensionare drasticamente le agevolazioni fiscali e gli aiuti alle imprese, con l’obiettivo di reperire 6 miliardi di euro e scongiurare l’aumento dell’Iva nel 2013. Giorgio Santini, Segretario generale aggiunto della Cisl, illustra a ilSussidiario.net le sue preoccupazioni. «Contestiamo, tanto per cominciare, la vulgata corrente secondo la quale quei 151 milioni sarebbero degli aiuti. Si tratta, invece, di una sorta di semplici permessi, concordati a livello contrattuale per chi, all’interno delle pubbliche amministrazioni, svolge attività sindacale. Per esempio, il lavoratore del pubblico impiego che viene eletto segretario provinciale della sua categoria, ha la possibilità di esercitare il suo mandato con un distacco sindacale dall’azienda in cui lavorava». Detto questo, da parte della Cisl, non c’è alcun atteggiamento di chiusura preventiva. «Riconosciamo che, in certi casi, i distacchi possano esser stati pattuiti secondo criteri eccessivi. Con il governo precedente, infatti, c’è stata una riduzione concordata del 10% in virtù del fatto che i settori mutano, le realtà evolvono, così come gli addensamenti occupazionali». In sostanza, «non siamo contrari a prescindere; ma, questa volta, sinceramente, specialmente sotto il profilo della funzionalità del sistema, non ravvediamo alcuna urgenza per compiere ulteriori tagli. Salvo le mere esigenze di cassa».
Eventuali penalizzazioni di caf e patronati, secondo Santini, risulterebbero ancora più irritanti. «Anzitutto, è sbagliato pensare che ricevano dei semplici finanziamenti; ricevono, invece, una remunerazione sulla base dell’operato svolto. In misura, oltretutto, ampliamente inferiore al servizio erogato». Nello specifico: «I patronati ricevono un versamento proveniente dal cosiddetto “fondo patronati”, al quale afferiscono in misura proporzionale alle pratiche svolte e il cui ammontare è stabilito di anno in anno (dispone di circa 400 milioni di euro). Attenzione: esso è finanziato con i contributi previdenziali dei cittadini. Non, quindi, con i soldi dello Stato. Si tratta di soldi degli italiani. Significa che chi chiede i suoi servizi, in qualche misura, se li è pagati da sé». Ebbene, «sottrarre parte di questi finanziamenti obbligherebbe a ridurre significativamente le prestazioni. Per molte famiglie e moltissimi anziani sarebbe un dramma. Questa fase è resa, infatti, particolarmente complicata dal fatto che l’Inps sta passando alla gestione telematica».
I caf, infine: «Ricordiamo che lo Stato, riconoscendo l’esperienza positiva dei centri di assistenza fiscale, decise di riconoscerli e – considerandone il valore sociale e il know how di cui disponevano – chiese loro una mano nell’assistenza ai cittadini; stabilì, di conseguenza, un compenso che, oltretutto, è già stato ridotto. Anche in tal caso, gli oneri superano di gran lunga gli introiti. I soldi dallo Stato, infatti, arrivano in genere dopo due anni. Spesso, inoltre, la domanda è tale che è necessario integrare il servizio con risorse nostre, in aggiunta a quanto proviene dallo Stato». Le conseguenze delle scelte del governo potrebbero seriamente nuocere ancora una volta ai cittadini: «I caf si troveranno o nell’impossibilità di non erogare più servizi ai cittadini, o di aumentare, e di molto, i costi per gil utenti».
(Paolo Nessi)