LAVORO/ Governo-parti sociali, istruzioni per evitare le “sirene” populiste
Per l’occupazione sarà un autunno drammatico: il nostro Paese sta perdendo 1000 posti di lavoro al giorno. Qualche idea per l’incontro governo-parti sociali di domani. FIORENZO COLOMBO

Racconto di un piccolo fatto successo qualche settimana fa: una conversazione avuta con una professoressa di Economia, un colloquio teso a ricavare qualche elemento di riflessione da giocare in una serie di sessioni di studio rivolte a dirigenti sindacali della Cisl.
Ho posto alla nostra docente universitaria una questione, a mio parere decisiva anche sul piano dei comportamenti, ovvero il disorientamento determinato dall’incapacità di rispondere a: ma quando toccheremo il fondo sotto il profilo economico? E la risposta fu più o meno di questo tenore, la riassumo nella serie di successive e brevi valutazioni. “In effetti la situazione, in senso strettamente economico, è un disastro e occorre realisticamente apprezzare quanto si sta facendo, dall’intensificarsi delle relazioni su scala europea alla riduzione dello spread, dal realismo del passo dopo passo alle misure socialmente accettabili, oggettivamente non drammatiche almeno per chi ha un reddito e una occupazione (altro discorso ovviamente per chi non ha nulla o è precario, per chi non è entrato ancora stabilmente nel MdL).
Ma la sensazione “popolare” di andare più a fondo è determinata da quanto più abbiamo paura di andare a fondo e più si è terrorizzati, quanto più si andrà a fondo.
E’ come quando in acqua abbiamo paura di affogare perché non tocchiamo terra con i piedi, allora iniziamo a sbattere, a fare azioni scoordinate e quindi annaspiamo o, peggio, affoghiamo; in una situazione normale, sapendo nuotare (il realismo) pur non toccando, sapremmo reagire e gestire la situazione senza affogare, pur con l’affanno di un mare agitato. Ci aggrapperemmo a quanto siamo capaci di fare, passo dopo passo, senza miracoli e cambiamenti messianici”.
Mi è venuta in mente questa conversazione pre-feriale nel momento in cui stiamo assistendo a questo “strano” dibattito circa ripresa sì, ripresa no, con il paradosso dell’immagine dei filmati televisivi sulle vertenze delle grandi aziende in fase di riorganizzazione o cessata attività, che non accenneranno a diminuire come numero di lavoratori coinvolti (stando agli elementi in possesso delle organizzazioni sindacali), segnalando in questo senso una perenne transizione, quale caratteristica permanente nella trasformazione degli assetti produttivi del nostro sistema industriale e manifatturiero in particolare.
Ma ci permettiamo altresì di segnalare che sussiste una realtà, scarsamente documentata, di piccole e medie aziende (commerciali e artigiane, industriali e delle diverse filiere di beni e di servizi) che non demordono, che fanno i conti tutti i giorni con mercati, credito, tasse e burocrazia, che difendono o creano posti di lavoro, seppur con numeri non eclatanti.
Noi non sappiamo se la ripresa si ripresenterà come in passato, sappiamo che il passato non tornerà, che il Paese non sarà più come prima e che la ricchezza diffusa sarà un po’ meno diffusa, avendo vissuto “un po’ sopra le nostre possibilità e un po’ sotto le nostre responsabilità”.
Domani ci sarà l’incontro tra il governo e le parti sociali, in particolare i sindacati e, a quanto è dato sapere, anche i sindacati stessi si presentano in ordine sparso: da chi è preoccupato e ha passato l’estate in pressing e contatti per ricostruire un clima di relazioni minime e decenti con il Governo (in ciò ha contribuito anche il recente Meeting di Rimini), superando o accantonando taluni incidenti del passato, a chi invece ritiene che il Governo è giunto al capolinea e invoca lo sciopero generale (contro chi e per che cosa?), con la richiesta, irrealistica e populistica, di una detassazione general-generica delle prossime tredicesime!
Ha ragione Dario Di Vico che, sul Corriere della Sera, ritiene che il peggior nemico da sconfiggere oggi, in Italia e in Europa, siano le varie forme di populismo e disgregazione.
Per stare ai fatti di casa nostra e per stare sul concreto delle cose significa sostenere i piccoli passi, quel “passo dopo passo, senza miracoli e cambiamenti messianici” invocato dalla nostra professoressa, quella speranza realistica da trasmettere con provvedimenti e percorsi virtuosi, chiamando tutti a comportamenti coerenti e finalizzati a obiettivi condivisi.
Significa, per esempio, sostenere nelle relazioni sindacali norme e patti contrattuali finalizzati a incrementi reali di produttività ovvero un maggior utilizzo degli impianti e delle ore lavorate, detassando le parti di retribuzione collegate al raggiungimento di standard concordati e condivisi, cioè obiettivi specifici, azienda per azienda.
Risorse pubbliche certamente ma finalizzate (non a pioggia, non assistenza), risorse utili a premiare impegno, comportamenti e risultati, con il pregio di sostenere salari e stipendi dei singoli e delle famiglie, anche ai fini della domanda interna e per aiutare il circolo virtuoso redditi, consumi, tasse, produzione e quindi di nuovo lavoro e occupazione.
Questa strada, al contrario di scioperi generali e provvedimenti irrealistici, è certamente faticosa, richiede tempi medio lunghi, comportamenti diffusi, responsabilità allargate, ma è anche l’unica per perseguire “l’abbassamento del tasso di disperazione” (Enrico Letta), per difendere imprese e produzioni, nel momento in cui la manifattura di qualità (prodotti e servizi collegati) si sta rivelando, come lo è sempre stato, il vero fattore d’eccellenza del nostro Paese.
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