Per GIULIANO CAZZOLA, tutto sommato è stato un bene che nell’ambito della legge di stabilità si sia deciso di non modificare la legge Fornero, evitando così di peggiorarla ulteriormente
Se prendiamo per buona la precisazione del presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, le pensioni di milioni di italiani sono blindate. Dopo aver detto che i bilanci dell’istituto non suscitano totale tranquillità, ha chiarito: «C’è piena e totale sostenibilità dei conti della previdenza e dell’Inps. Nessun allarme e nessun allarmismo. Il disavanzo ereditato dall’ex Inpdap non deve trasformarsi in un sintomo di incertezza sulla tenuta della previdenza italiana. È solo un problema contabile, che non mina la certezza dei flussi finanziari». Contestualmente, dal Movimento 5 Stelle proviene una proposta per risolvere l’annosa questione delle pensioni d’oro. Dato che la Consulta ha bocciato i precedenti prelievi ritenendoli costituzionalmente illegittimi rispetto al principio della capacità contributiva, i grillini hanno pensato che le obiezioni si possano aggirare applicando a tutti e rigidamente il principio della progressività: chi ha una pensione da poco più di 500 euro al mese, verserà un centesimo di tasse, chi ne prende 30mila euro ne verserà 10mila e chi ha un assegno da 90mila euro destinerà almeno 30mila euro allo Stato. Tale misura, inoltre, dovrà essere temporanea e non durare più di tre anni. Abbiamo fatto il punto sulla situazione con Giuliano Cazzola, responsabile Welfare di Scelta Civica.
Come vanno interprete la parole di Mastrapasqua?
Credo che intendesse, semplicemente, dire che i bilanci non sono di certo peggiori di quanto possano apparire dell’esterno. Il fatto è che all’interno del deficit dell’Inps è nascosta una partita di giro di carattere finanziario tra lo Stato e l’Inpdap. Prima della creazione dell’istituto previdenziale per gli statali, le amministrazioni pubbliche incassavano la quota di contribuzione dovuta dai loro dipendenti, per poi erogargli direttamente la pensione, esattamente come prima avevano erogato loro gli stipendi. Quando la cassa venne istituita, la legge Dini del 1995 impegnò lo Stato a trasferire all’Inpdap 14mila miliardi di vecchie lire, per coprire lo stock delle pensioni degli statali. Poi, nel 2007, il governo Prodi compì un’operazione di maquillage finanziario che ha determinato l’attuale buco.
Ci spieghi meglio.
Si decise di trasformare con un artifizio il debito che lo Stato aveva nei confronti dell’Inpdap in un’altra cosa; così, il trasferimento finanziario divenne un anticipo di tesoreria. Certo, era sottointeso che non sarebbe mai stato chiesto indietro. Tuttavia, a quel punto, l’Inpdap, da creditore, divenne debitore. Questo, ovviamente, incise sul bilancio della cassa, a sua volta gravato da una serie di problemi, quali il blocco del turn over dei dipendenti pubblici, il blocco degli stipendi e il fatto che laddove delle imprese sono state privatizzate, i suoi lavoratori sono passati all’Inps.
Nell’ambito della legge di stabilità, invece, la disciplina pensionistica è rimasta, sostanzialmente, invariata. Si è persa un’occasione per apportare qualche intervento migliorativo?
Più che altro, ce la siamo risparmiata. Temo che qualunque intervento, sarebbe stato peggiorativo. Credo, del resto, che la legge Fornero, tendenzialmente, vada bene così com’è. Alcuni effetti negativi che essa determina non sono necessariamente risolvibili intervenendo sul versante pensionistico. Intendo dire che se una persona resta attorno ai 60 anni resta senza lavoro, occorre fare in modo che ne trovi un altro, invece che dargli direttamente la pensione.
Cosa ne pensa della proposta dell’M5S?
Tutto sommato, si può anche prendere in considerazione. Se la misura è provvisoria, non credo che si pongano problemi di natura costituzionale. Non dimentichiamo che un intervento del genere, sul fronte della quantità, non ha alcun valore. Non risolve di certo i problemi della finanza pubblica. Casomai, ce l’ha sul piano della qualità. Può dare un segnale importante nel segno dell’equità, chiedendo un sacrificio a chi è in condizione di farlo. La mia ricetta, in ogni caso è un’altra.
Quale?
Credo che la materia vada affrontata in maniera strutturale. Tra i trattamenti in essere e quelli futuri si può rivedere la rivalutazione, prevedendo che, per le pensioni superiori a 6 volte la minima, l’indicizzazione all’inflazione sia modulata al ribasso rispetto alla progressività attuale. Inoltre, è possibile agire sui rendimenti. Con il retributivo, ogni anno di versamenti fino a un tetto di 50mila euro vale il 2%. Al di sopra di questo tetto, c’è un decremento, che arriva fino allo 0,9%. Tale calo potrebbe essere più marcato.
(Paolo Nessi)
