A giorni uscirà l’ultimo decreto attuativo del Jobs Act. Se i primi hanno dato effetti positivi come misurato dai dati Istat resi noti recentemente, l’ultima puntata di provvedimenti è altrettanto rilevante. Ricordiamo che l’intenzione dichiarata dal governo è stata quella di intervenire sui contratti per mettere fine al dualismo del mercato del lavoro, renderlo più flessibile e fornire però politiche attive efficaci per sostenere chi avesse avuto difficoltà nel ritrovare un impiego.
L’ultimo decreto si dovrà perciò occupare di riportare gli attuali ammortizzatori sociali al significato originario di strumenti utili per sostenere processi di ristrutturazione industriale. Così si intende superare la fase di straordinarietà che ha caratterizzato questo periodo di crisi. Data l’assenza nel nostro Paese di un sistema di sostegno al reddito e politiche attive a favore della ricollocazione, si è risposto all’emergenza occupazionale con l’estensione dell’uso di cassa integrazione ordinaria e straordinaria a pressoché tutte le aziende indipendentemente dai settori e dalla dimensione.
Oltre ciò, il provvedimento dovrà delineare le linee attorno a cui dare vita a un’agenzia nazionale che si occupi di promuovere e coordinare i centri che assicureranno un percorso di politiche attive del lavoro abbinate a reddito di sostegno e applicazione delle condizionalità. Chi fruirà dei servizi e del sostegno al reddito dovrà accettare (sotto vincoli di fruibilità) le proposte di lavoro o decadrà dai benefici economici.
Terzo passaggio del decreto sarà la semplificazione amministrativa e la razionalizzazione dei sistemi ispettivi, con la creazione di un’agenzia unica dove raggruppare i compiti di controllo di ministero, Inps e Inail.
L’elenco dei temi rende evidente l’importanza del provvedimento e perché vi è una grande attesa. Dopo il primo decreto che ha introdotto i contratti a tutele crescenti e ha così ridisegnato l’accesso al lavoro, è con questo provvedimento che si dovrà organizzare un sistema di ammortizzatori sociali e servizi per il lavoro che siano effettivamente un aiuto per chi perde la propria occupazione o per chi volesse mettersi in mobilità.
I modelli europei di riferimento sono delineati dall’avere in un’unica agenzia nazionale la gestione delle politiche passive (sostegno al reddito) e delle politiche attive (servizi per la ricollocazione lavorativa). In Italia abbiamo più strutture nazionali (Isfol, Italia Lavoro e Inps) che svolgono, ognuno per una parte, i compiti che assemblati dovrebbero fornire l’insieme dei sevizi utili per sostenere il mercato del lavoro. In realtà, oggi non dialogano e, esclusa l’Inps che eroga gli ammortizzatori sociali, gli altri enti lavorano su progetti parziali, utili al più per essere indicativi di possibili interventi.
Sul territorio vi sono i Centri per l’impiego, dipendenti finora dalle provincie, che non sono mai andati oltre la gestione puramente amministrativa delle certificazioni di disoccupazione e della registrazione dei dati sulla mobilità del lavoro con le Comunicazioni obbligatorie. Solo in alcune regioni, grazie a legislazioni regionali specifiche, i Cpi sono stati impegnati in progetti di politiche attive.
Quasi sempre le iniziative regionali che hanno tentato di avviare politiche specifiche di ricollocazione hanno coinvolto anche le Agenzie per il lavoro. Le società private sono state indotte a strutturarsi per essere presenti anche nelle politiche attive e hanno sviluppato una specifica capacità di fare rete con le strutture pubbliche. Il modello lombardo di servizi al lavoro è quello che più di ogni altro ha creato un sistema unitario di servizi forniti da agenzie pubbliche e private centrando il sistema sulla possibilità di scelta affidata alla persona e sviluppando un sistema di servizi a costi standard premiando l’efficacia ottenuta dai diversi operatori nella ricollocazione lavorativa dei lavoratori presi in carico.
Questo dovrebbe essere il sistema delineato anche dal decreto governativo. Un modello di servizi che hanno la presa in carico del bisogno di chi cerca lavoro o che vede valutata la capacità di ricollocare il maggior numero possibile di persone.
Coinvolgere in un’unica agenzia erogazione dei contributi al reddito (Inps), che assicura anche l’anagrafe lavorativa dei soggetti attraverso la storia lavorativa dell’individuo, e agenzie per le politiche attive (Cpi e Apl) assicurerebbe la rete territoriale di servizi al lavoro necessaria per fronteggiare da subito il problema di molti lavoratori in Cig senza prospettive con percorsi di ricollocazione attraverso una formazione per nuova occupabilità e capacità di matching fra domanda e offerta di lavoro presenti sul territorio.
Solo questa capacità di abbinare Naspi (sostegno al reddito previsto per 24 mesi) e offerta di servizi per la ricollocazione permette di riportare gli ammortizzatori sociali al ruolo originario. Si potrà allora prevedere che in caso di aziende destinate a chiusura certa non si passerà per ammortizzatori sociali che hanno come scopo ristrutturazioni con riprese di attività, ma a contratti di ricollocazione. Così come in casi effettivi di programmi di ristrutturazione si dovranno privilegiare i contratti di solidarietà rispetto alla tradizionale Cig o Cigs.
Insomma, anche per il modello italiano di servizi al lavoro e ammortizzatori sociali sarà l’inizio di un passaggio importante e per gli attori sociali si aprirà una nuova fase dove giocarsi la responsabilità di sostenere tutti nel lavoro e nella ricerca del lavoro per una maggiore libertà nell’organizzare risposte alla crisi che ci accompagnerà ancora per un periodo di tempo significativo.