I dati sull’andamento di assunzioni/licenziamenti divulgati in questi giorni dall’Inps hanno riacceso una stucchevole discussione sull’impatto generale del Jobs Act sul mercato del lavoro. Discussione stucchevole perché sono dati non comparabili con quelli forniti regolarmente da Istat e Governo. Basta rilevare la differenza fra il tasso dei comunicati stampa tesi a enfatizzare aspetti negativi e l’analisi formale dei dati che conferma le analisi appena uscite di Banca d’Italia.
Da un lato, si enfatizza il fatto che sono aumentati i licenziamenti e che riguardano i contratti a tempo indeterminato rispetto a quelli a tempo determinato. Per sottolineare che ciò induce a una crescente precarietà, lo si mischia con il dato di crescita esponenziale avuto dai voucher. Ma proprio lo studio Inps sull’uso dei voucher appena pubblicato spiega che i lavoratori voucheristi sono per gran parte appartenenti a una platea diversa da quella stabilmente presente sul mercato del lavoro. Quindi la diffusione dei voucher è utile per aumentare il tasso di attività e non sottrae lavoro alla parte tradizionale dei lavoratori occupati.
Per quanto riguarda i dati relativi ai flussi di occupati e licenziati, si evidenziano oltre 500.000 posti di lavoro stabili aggiunti nel corso degli ultimi 12 mesi, così come segnalato da tutti gli altri indicatori pubblicati di recente, se si procede a trasformare i flussi misurati in dati annualizzati per valutare l’effetto complessivo dei processi in corso.
Tale situazione non è certamente soddisfacente, ma l’imputato non è tanto il Jobs Act, quanto la politica economica che non riesce a fare espandere la produzione industriale e fare riprendere quindi la domanda complessiva di lavoro. Al Jobs Act rimane da chiedere conto del ritardo con cui partiranno i servizi al lavoro basati sui nuovi ammortizzatori sociali fatti di formazione e assegno di ricollocazione. Ciò renderà ancora più fluido il mercato del lavoro e favorirà l’incontro domanda/offerta, ma anche così non si creerà nuovo lavoro. Per questo sono più importanti le misure previste nei provvedimenti legati alla Legge di stabilità 2017.
L’enfasi generale si sta concentrando sulle misure di regolarizzazione fiscale offerta a chi ha cumulato risparmi in contanti frutto di evasione e sugli scivoli pensionistici. In realtà, le misure tese a sostenere la crescita sono state solo parzialmente enfatizzate, ma sono presenti in tutto il provvedimento. Visto il rinvio dei tagli all’Irpef generalizzati all’anno prossimo, mi pare da sottolineare il sostegno ai consumi dato da un incremento alle pensioni minime e dai provvedimenti per gli investimenti delle imprese. Sul reddito reale delle fasce più basse agiranno le revisioni delle pensioni, la disponibilità ai rinnovi contrattuali della Pa e continueranno ad agire gli sgravi fiscali e contributivi per accordi aziendali finalizzati ad aumentare la produttività.
Per le imprese il prolungamento, l’estensione e la rimodulazione al rialzo per l’ammortamento di investimenti produttivi è la misura ritenuta più utile per sostenere la fiducia in una ripresa della crescita. fSe è certamente vero che il panorama internazionale e anche le fibrillazioni sulla stabilità nazionale in vista del referendum di dicembre hanno una influenza sugli animal spirits imprenditoriali alquanto deprimente, è altrettanto vero che è proprio in questo periodo che bisogna sostenere chi ha pensieri lunghi e vuole investire per contribuire alla ripresa con innovazione sia di processo produttivo che nei prodotti.
La difesa del nostro sistema industriale e il sostegno alle Pmi impegnate in una fase di crescita passano per una ripresa degli investimenti e un’apertura di nuovi mercati. Se si saldano queste misure con quanto previsto dalla ripresa di una politica industriale come indicata dal progetto industria 4.0 possiamo ritenere che le previsioni di crescita possano uscire dai punti decimali per tornare a marciare a numeri interi.
Ovviamente servono altre misure a sostegno di tutto ciò: politiche restrittive europee e contrazioni del commercio internazionale possono fermare e annullare gli effetti espansivi. È per questo che provare a trasformare i dati in nuova occupazione prevista è molto difficile. Se si riuscirà a mantenere una crescita netta di occupati sui 12 mesi superiore ai 600.000 si manterrà il trend positivo degli ultimi 24 mesi, accorciando così il sentiero di recupero dei posti di lavoro bruciati dalla crisi del 2008.
Nella Legge di stabilità vi sono però due scelte positive per quanto riguarda l’occupazione giovanile. Le agevolazioni alle aziende per assunzioni con contratti a tempo indeterminato saranno erogate solo per assunzioni di giovani (restano estese a tutti i lavoratori nel Mezzogiorno). Dato il risultato ottenuto nei due anni di applicazione ritengo possano dare una svolta alla discesa del tasso di disoccupazione giovanile. In ogni caso è un fatto positivo che la politica torni a scegliere indicando i target che si vogliono sostenere. Ciò indurrà anche le regioni a compiere scelte finalizzate ad ampliare l’effetto delle scelte generali indicate dal Governo. Vi è poi un’indicazione precisa a sostenere e generalizzare i percorsi di scuola-lavoro che nell’ultimo anno hanno rilanciato percorsi di apprendistato con il sistema duale fatto di formazione e lavoro in impresa.
In alcune regioni tale sistema riguarda anche ragazzi ancora in obbligo scolastico. I dati confermano che il sistema formazione lavoro ha ottenuto il “recupero” di quel 20% di giovani che generavano abbandono scolastico e ciò con una capacità di assicurare un inserimento lavorativo per oltre il 50% dei frequentanti i corsi. L’impegno del ministero del Lavoro a sviluppare e diffondere tali esperienze attraverso il coinvolgimento diretto delle imprese e introducendo anche in Italia il sistema duale può dar vita a quei percorsi formativi che possono dare due importanti vantaggi.
In primo luogo, offrire percorsi di recupero scolastico a quella fascia giovanile e di famiglie che non trova oggi una risposta nel sistema scolastico tradizionale. Inoltre, sarà possibile fornire quelle professionalità che, pur richieste dal sistema produttivo, non avevano sedi per essere formate. Nuovi operatori della formazione alleati con il sistema delle imprese possono così diventare nuovi centri di iniziativa per avviare al lavoro giovani altrimenti destinati a incrementare il numero dei Neet.