Stando alle informazioni disponibili a oggi, l’ormai famoso Ape, la possibilità di anticipo pensionistico che verrà inserito nella prossima Legge di stabilità, varrà per tutti i lavoratori, compresi gli autonomi, con almeno 20 anni di contributi che nel corso del 2017 compiranno almeno 63 anni (i nati fino al 1954, quindi). Grazie a questo nuovo strumento di flessibilità in uscita, questi lavoratori potranno ottenere un anticipo della pensione fino a 3 anni e 7 mesi. Essendo, quindi, l’età minima per la pensione di vecchiaia dopo la riforma Fornero fissata a 66 anni e 7 mesi, questi “pensionandi” potranno andare in pensione a partire, appunto, dai 63 anni.
La flessibilità avrà, tuttavia, per il lavoratore che beneficerà dell’Ape, un costo proporzionale agli anni di anticipo che verranno goduti. Ad esempio, un lavoratore con una pensione da 1.000 euro avrà un costo mensile di circa 50-60 euro al mese per 20 anni nel caso chieda un anno di anticipo. Quest’importo, una sorta di finanziamento, potrà salire fino a 150-200 euro, sempre per un ventennio, nel caso di uno sconto di tre anni. Potranno, ovviamente, usufruire dell’Ape senza costi aggiuntivi alcune categorie particolarmente svantaggiate, come i disoccupati di lunga durata e chi svolge uno dei cosiddetti “lavori usuranti” che impattano, significativamente, sulla salute dei lavoratori.
Secondo l’esecutivo, nei primi tre anni di applicazione potranno usufruire dell’Ape circa 350 mila persone. È stato, inoltre, precisato che l’Ape avrà, ovviamente, un periodo di “sperimentazione” per i primi due anni. Sulla base dei risultati ottenuti, infatti, lo strumento potrebbe essere sottoposto alle opportune, e necessarie, modifiche, prima di diventare strutturale nel 2019. Nei prossimi giorni, in ogni caso, saranno disponibili maggiori, e più precise, informazioni anche a seguito dell’incontro tra governo e sindacati.
Pare, tuttavia, che, facendo un passo indietro, si intervenga in materia previdenziale pensando solo al presente con una misura dedicata ai pensionandi, ed elettori, di oggi. Sembrano, infatti, mancare misure e risorse per i lavoratori di oggi e pensionandi di un futuro sempre più lontano e incerto che stanno ricevendo, proprio in questi giorni, le fatidiche “buste arancioni”.
Il lavoro da fare, insomma, non sembra, quindi, mancare né ai responsabili politici, né alle strutture amministrative, in particolare l’Inps, che sono (e/o saranno) chiamate a gestire concretamente le diverse novità.
Ma il Professor Boeri, mega presidente dell’Inps, sembra, in questi giorni, più interessato da altre vicende. Vuole, infatti, prima di tutto risolvere un’altra questione: licenziare e/o sostituire il direttore generale Massimo Cioffi, peraltro, da lui stesso indicato. Il timore è, quindi, che ancora una volta si sia persa l’opportunità per la #svoltabuona e che, ahimè, le tanto criticate pratiche del passato non siano stato né rottamate, né mandate in pensione.