Un segnale positivo dell’andamento del mercato del lavoro è venuto dalla pubblicazione da parte dell’Istat del tasso dei posti vacanti relativi alle imprese dell’industria e dei servizi. Alla fine del 2017, il dato si riferisce al quarto trimestre dell’anno, il tasso di posti vacanti è l’1%. Alla fine del 2014 era fermo da oltre un anno allo 0,5% e poi è cresciuto costantemente. L’indicatore rappresenta il rapporto percentuale fra numero dei posti vacanti e la somma dei posti vacanti e le posizioni lavorative occupate.
I posti vacanti misurano le ricerche di personale che in una determinata data (l’ultimo giorno del trimestre) sono già iniziate e non ancora concluse. Rappresentano quindi quei posti di lavoro retribuiti, nuovi o già in essere, liberi o in procinto di diventarlo, per i quali si sta cercando attivamente un candidato con le competenze adatte a ricoprire quel ruolo e l’impresa è attivamente impegnata a cercarlo. È pertanto un indicatore positivo della domanda di lavoro e la sua crescita testimonia che le imprese sono tornate ad assumere per cui in ogni momento (trattasi di dato di flusso) vi è una ricerca attiva di un nuovo 1% di occupati. Si può ritenere che a breve vi sarà quindi una pari crescita degli occupati e nel caso in cui il tasso rimanesse attivo indica la velocità con cui nel breve periodo crescerà l’occupazione.
Se il dato relativo ai posti vacanti fosse riferito a tutta l’occupazione, l’1% di 23 milioni di occupati (record di occupati raggiunto nel 2017) corrisponderebbe a 230.000 posti di lavoro che troveranno a breve copertura e quindi determineranno un’ulteriore crescita degli occupati e del tasso di occupazione che oggi ha superato il 58%. Il dato pubblicato dall’Istat si riferisce invece solo alle imprese del settore industria e del settore servizi con più di 10 dipendenti. Questo campione rappresenta circa il 40% degli occupati dovendo togliere gli impiegati della Pubblica amministrazione e gli occupati delle numerose microimprese che caratterizzano il sistema produttivo del nostro paese. Anche così il dato assoluto rappresenta un insieme significativo di possibili nuovi occupati risultando quasi 10.000 persone che entreranno in un ruolo attivo nel mercato del lavoro. A questi andranno poi sommati i posti vacanti riferiti alle microimprese che non sono rilevati dall’indagine Istat e che, ammesso che anche in questo settore siano l’1%, rappresentano circa altri 50.000 posti di lavoro da coprire.
L’indicatore dei posti vacanti ci dice quindi che la ripresa produttiva è in corso, le imprese tornano a cercare nuovi lavoratori e contano di proseguire anche nell’avvio dell’anno in corso. Per determinare che questo dato non nasconda anomalie del mercato dovremmo indagare in due direzioni e verificare che anche le riforme introdotte per modernizzare il mercato del lavoro, che risultava ingessato all’inizio della crisi, stanno contribuendo ai risultati positivi.
Il primo dato sarebbe fornito dal tempo impegnato per la ricerca di nuove figure professionali da inserire da parte delle imprese. Più questo tempo è lungo e più risulta disorganizzato il settore dei servizi al lavoro che dovrebbe favorire in tempi rapidi l’incontro fra domanda e offerta di lavoro. Con il Jobs Act si è creata Anpal, Agenzia nazionale politiche attive del lavoro, che avrebbe dovuto avviare un sistema nazionale di servizi per favorire il reinserimento al lavoro dei disoccupati e favorire l’incontro fra domanda e offerta. L’avvio delle prime sperimentazioni ha messo in rilievo le difficoltà a far decollare un reale sistema di attivi pubblici e privati capaci di modernizzare in percorsi di ricollocamento. Ancora oggi nel nostro Paese il sistema più utilizzato per l’incontro fra domanda e offerta di lavoro è il passaparola e il sistema di relazioni famigliari.
Anche l’avvio del sistema nazionale di servizi all’impiego e la crescita dell’intermediazione operata dalle Agenzie per il lavoro private non hanno cambiato la struttura familistica e antiquata del nostro mercato. Tuttora solo circa il 10% degli incroci fra domanda e offerta è operato con l’intervento di strutture di sevizio dedicate. Questo ritardo strutturale nello sviluppo dei servizi al lavoro può diventare, con l’incremento della ripresa produttiva, un imbuto che rallenterà la crescita dell’occupazione.
La seconda verifica riguarda un aspetto qualitativo dell’offerta di lavoro. Una crescita dell’indicatore dei posti vacanti può indicare che non vi sono nel mercato le professionalità richieste dalle imprese e quindi non si otterrà nel breve periodo la crescita occupazionale attesa. Anche il sistema di rappresentanza delle microimprese lamenta con regolarità che vi sono troppi posti di lavoro che restano vacanti perché non si trovano lavoratori con i profili professionali richiesti. Negli ultimi anni si è cercato di rispondere a questo mismatching facilitando l’incontro col mondo del lavoro dei percorsi di formazione ed istruzione. L’avvio dell’obbligatorietà dell’alternanza scuola lavoro e il sostegno del sistema duale per i percorsi di formazione professionale cercano di rispondere al ritardo con cui i nostri studenti entrano in contatto con il mondo del lavoro. È un impegno importante, ma che potrà dare pienamente i suoi frutti, in assenza di sconsiderati passi indietro nel prossimo dopo elezioni, solo in un periodo medio lungo.
La riforma operata sull’apprendistato ha inoltre cercato di favorire quelli di primo e terzo livello che possono rispondere alla formazione on the job delle figure professionali scarse. Sono misure importanti, non ancora pienamente utilizzate dal sistema produttivo sia per ritardi storici, sia per interventi di complicazione burocratica operati da molte regioni, ma possono diventare la risposta più operativa a sostenere una crescita occupazionale più veloce a fronte della ripresa produttiva in corso.