BRACCIANTI E CAPORALATO/ Una sfida che ci interroga sul futuro dei sindacati
Ieri c’è stato uno sciopero nelle campagne pugliesi, negli stessi luoghi dove nei giorni scorsi sono morti diversi braccianti vittime del caporalato. GIANCAMILLO PALMERINI

Un giovane ragazzo pugliese di nome Giuseppe all’età di sette anni fu costretto, per mantenere la famiglia, a prendere nei campi il posto del padre, morto, ahimè, per un incidente sul lavoro. Lasciò, insomma, improvvisamente la scuola e la sua vita da bambino per diventare, probabilmente senza volerlo, un uomo.
A dodici anni questo stesso bambino vide i suoi compagni di lavoro cadere sotto il fuoco della polizia che voleva reprimere uno sciopero dei lavoratori della terra proclamato nella sua Puglia. Una terra che, come ci ricordano i drammatici fatti di cronaca dei giorni scorsi, ancora oggi vede i braccianti impegnati quotidianamente nella lotta per i loro diritti di lavoratori, e di persone umane, troppo spesso negati, nonostante anche una recente legge contro il caporalato, a un gruppo di lavoratori composto quasi esclusivamente di migranti.
Dopo i fatti prima citati il piccolo Giuseppe decise, quindi, di intraprendere un percorso che già giovanissimo lo vide nel ruolo di leader sindacale prima pugliese, poi nazionale e internazionale. I fatti risalgono, pensate, agli inizi del ‘900 e il piccolo Giuseppe non è altro che quel Di Vittorio, uno dei leader sindacali più amati del secolo scorso, chiamato a guidare le battaglie del lavoro durante i primi anni della giovane democrazia italiana del secondo dopoguerra.
È, tuttavia, amaro constatare che molte cose non sono ancora cambiate se solo pochi giorni fa centinaia di braccianti delle campagne del foggiano si sono dovuti riunire in assemblea e hanno deciso di proclamare uno sciopero per l’intera giornata di ieri, in memoria dei quattro compagni di lavoro morti sabato 4 sulla provinciale 105 mentre tornavano dai campi e per rivendicare, allo stesso tempo, diritti e dignità.
È stata, insomma, la marcia dei berretti rossi, come i cappellini che i quattro braccianti morti e i quattro feriti sabato indossavano nei campi per proteggersi dal solleone mentre si spaccavano la schiena per raccogliere pomodori per una paga di “ben” un euro al quintale.
I ragazzi morti non si chiamano più Giuseppe, Antonio o Salvatore, ma Moussa, Amadou o Ali, ma niente cambia o dovrebbe cambiare se si pensa che il più “vecchio” aveva solo 30 anni.
Lo slogan della manifestazione è, parafrasandone uno molto più noto almeno negli ultimi mesi, #primaglisfruttati, che guarda non solo alle morti nei campi della Puglia, ma anche alle tante disuguaglianze che ancora attraversano la nostra società. Oltre un secolo fa in queste battaglie si formava una classe dirigente sindacale. Viene da chiedersi se, anche oggi, sia possibile immaginare che nascano, durante queste giornate di lotta, figure carismatiche in grado di guidare, magari in un prossimo futuro, il sindacato degli anni che verranno.
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