Su molti fronti politici e sociali, mettere a confronto Italia e Stati Uniti può sembrare temerario. Le grandi tradizioni di libertà e di democrazia, ma anche un sistema economico fortemente influenzato dalla finanza speculativa e uno Stato sociale molto limitato, costituiscono elementi che distinguono l’America, nel bene e nel male. Se poi guardiamo al mercato del lavoro le differenze sono rilevanti, così come sono forti le distanze tra le politiche che sono state adottate negli ultimi anni di forte crisi per cercare di aiutare i giovani e i disoccupati a trovare un posto di lavoro.
In Italia si è cercato di dare attuazione, con ritardi e incertezze, al progetto europeo “Garanzia Giovani”, un piano dotato peraltro anche di un significativo fondo di 6 miliardi di euro. L’obiettivo del progetto, varato a metà 2013, era quello di rendere meno difficile il percorso dei giovani verso il mondo del lavoro alla conclusione del loro periodo di studio. Il piano mira a garantire un’ulteriore offerta formativa oppure un posto di tirocinante o apprendista, o ancora meglio, un posto di lavoro anche a tempo determinato.
Ebbene in molti paesi, soprattutto nel Nord Europa, sono state finalizzate in maniera molto costruttiva le strutture già esistenti. In Italia si sono incontrati soprattutto ostacoli: in primo luogo, perché le competenze sul lavoro sono regionali e gli uffici per l’impiego sono su base provinciale; poi perché le strutture esistenti si sono ben guardate dal ricercare un terreno comune con le agenzie private per l’impiego; e anche perché non si è prestata la necessaria consulenza alle imprese. Un recente sondaggio ha messo in luce come solo metà dei giovani che si sono accreditati hanno avuto un colloquio e che di questi solo il 15% ha avuto un’offerta concreta nel mondo del lavoro.
Del tutto diversa, nel metodo e nei risultati, l’esperienza americana. Quando è iniziata la grande crisi per iniziativa dello stesso presidente Obama si è varata un’inedita collaborazione tra il Department of Labour e le maggiori società di social network: Facebook, Twitter e soprattutto LinkedIn (data la particolare caratteristica fin dall’inizio rivolta alle dimensioni professionali). In pratica si è creato un ufficio di collocamento virtuale con il pregio della massima trasparenza, dell’efficacia, e della possibilità di poter agire a vasto raggio senza i confini burocratici e amministrativi.
Si potrebbe dire che gli americani hanno cercato di affrontare in modo nuovo i problemi nuovi. Seguendo peraltro anche le strategie che seguono le direzioni del personale delle grandi imprese che analizzano attentamente come il candidato a un posto si presenta sui social network per delineare il carattere insieme alle competenze umane e professionali.
Il ruolo dei social network, e di LinkedIn per il lavoro, è infatti sempre più importante. Nel libro “LinkedIn e la relazioni che contano” di Achille Pier Palliotta (e.book disponibile in formato kindle su Amazon a euro 6,18) si illustrano, con ampiezza di documentazione e casi aziendali, come questo social network in particolare sia entrato ormai nella prassi quotidiana dei professionisti e delle direzioni delle risorse umane delle imprese. LinkedIn è stata fondata nel 2002 proprio con l’obiettivo, spiega Palliotta, “di creare una rete focalizzata sul mondo delle imprese che permettesse la connessione a livello globale dei migliori professionisti facilitando così la loro affermazione professionale”; e sottolinea poi come “uno strumento siffatto non poteva che nascere negli Stati Uniti”, dove il pragmatismo si coniuga con una legittima ambizione.
Anche in Italia questi strumenti hanno rapidamente preso piede anche a livello professionale, sebbene lo scenario sia ancora caratterizzato, come sottolinea nelle conclusioni Palliotta, dalle reti amicali e parentali, dalle segnalazioni che diventano raccomandazioni, dalle scelte politiche anche ad alti livelli dove una scelta sbagliata può compromettere la solidità di un’impresa.
Le cose tuttavia stanno cambiando e vale certamente la pena approfondire le potenzialità dei social network anche per rendere più efficiente una realtà che in Italia certamente efficiente non è, come il mercato del lavoro, dove sono in gioco non tanto i numeri, quanto le persone.