Sul mercato del lavoro italiano c'è un mismatch che rischia di crescere nei prossimi anni. Occorre porvi rimedio
Il futuro del nostro mercato del lavoro, in particolare per quel che riguarda le caratteristiche dell’offerta, sarà condizionato dall’incidenza di due fattori strutturali: l’impatto demografico sulla popolazione in età di lavoro e quello delle tecnologie digitali sull’obsolescenza delle professioni.
Il declino demografico si riflette nella riduzione della persone in età di lavoro, sull’invecchiamento della popolazione attiva e sull’esodo dei lavoratori anziani che risulta largamente superiore a quello dei giovani che si accingono a entrare nel mercato del lavoro. L’impatto delle tecnologie aumenta il fabbisogno di aggiornamento delle competenze dei lavoratori occupati e delle persone che cercano lavoro.
L’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro risulta ulteriormente complicato dal mutamento dei valori che influenzano le aspettative e i comportamenti delle persone e la conciliazione tra i carichi da lavoro e gli stili di vita delle cinque generazioni che contribuiscono alla formazione della popolazione attiva.
L’insieme di questi fattori alimenta la crescita del fenomeno delle assunzioni programmate dalle imprese che non trovano lavoratori disponibili (mismatch). Nelle indagini Excelsior (Unioncamere-Ministero del Lavoro) risulta equivalente al 45% dei potenziali rapporti di lavoro, con un incremento di circa 20 punti nel corso degli ultimi 4 anni.
La crescita del mismatch è in atto in tutti i mercati del lavoro dei Paesi sviluppati e incentiva l’attrazione di lavoratori formati da altre nazioni per compensare i fabbisogni interni. Per la stragrande maggioranza di questi Paesi, il fenomeno si manifesta per l’elevato tasso di impiego delle persone in età di lavoro residenti e per la carenza di personale qualificato. In Italia, oltre che essere di maggiore intensità, coincide con un tasso di occupazione che è inferiore di circa 9 punti rispetto alla media dei Paesi dell’Ue ed è prevalentemente motivato dalla carenza di lavoratori disponibili a svolgere le mansioni esecutive.
La scarsa disponibilità di figure professionali con elevata qualificazione è manifesta anche nel nostro Paese. Nelle indagini Excelsior, la carenza di personale con competenze tecnico-scientifiche (ingegneri, informatici, matematici, medici e infermieri, ecc.) risulta superiore al 70% della potenziale domanda di lavoro. Ma percentuali analoghe, o di poco inferiori, si riscontrano anche per la ricerca dei profili esecutivi qualificati (operai specializzati e qualificati, carpentieri, idraulici, elettricisti, conduttori di macchine e automezzi, magazzinieri, venditori, ecc.) che hanno un impatto numerico superiore nel mercato.
Percentuali inferiori, ma numericamente importanti, si registrano anche nella domanda di personale con bassa qualificazione (manovali, camerieri, braccianti, addetti alle pulizie e ai servizi di accoglienza, intrattenimento, ristorazione, colf e badanti) che attiva, per compensazione, una crescente domanda di lavoratori immigrati (equivalente al 22% delle attivazioni dei nuovi rapporti di lavoro).
Cosa suggerisce la lettura di questi numeri? Circa i due terzi del mismatch italiano dipendono principalmente dalla mancanza di un ricambio generazionale per attività precedentemente svolte dai lavoratori anziani che vanno in pensione. Questa evoluzione offre anche una spiegazione ragionevole del radicale cambiamento dell’atteggiamento delle imprese verso i lavoratori anziani, testimoniato dalla forte crescita degli occupati over 50 anni, superiore a quella generale, accompagnata dall’aumento dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
La resilienza dei lavoratori anziani è stata probabilmente favorita anche dal basso utilizzo delle tecnologie digitali in molti comparti del terziario e nelle piccole imprese che rallenta il tasso di obsolescenza delle professioni in essere.
L’impatto delle tecnologie digitali sulle organizzazioni del lavoro e sull’obsolescenza dei profili professionali è inevitabilmente destinato ad aumentare nei prossimi anni con ulteriori implicazioni critiche sulla formazione del mismatch e per le problematiche di adeguamento delle competenze dei lavoratori. In particolare per la componente degli over 50 anni che sono diventati, nel frattempo, la coorte maggioritaria del nostro mercato del lavoro.
L’offerta formativa per far fronte ai fabbisogni di medio e lungo periodo (le competenze teoriche) e delle problematiche di adeguamento dei lavoratori occupati o coinvolti nelle transizioni lavorative evidenzia ritardi preoccupanti. Nonostante il parziale recupero per la quota dei giovani che si frequentano le università, la percentuale dei laureati sulla popolazione attiva rimane inferiore di 15 punti rispetto alla media europea.
Si registrano segnali positivi per tenuta nei percorsi di formazione professionale, nonostante la riduzione del numero dei giovani che li possono frequentare, e per i programmi di formazione continua dedicati ai lavoratori occupati nelle medie e grandi aziende, dovuti al concorso delle risorse pubbliche che hanno finanziato i fondi per le nuove competenze.
I percorsi di alternanza tra scuola e lavoro e l’utilizzo dell’apprendistato continuano ad avere uno scarso peso per l’inserimento post-scolastico dei nostri giovani e i numeri rimangono distanti dalle buone pratiche europee. Altro punto debole è la carenza delle offerte formative personalizzate, e che valorizzano la formazione nell’ambito lavorativo, per le persone in cerca di lavoro.
Il mancato aggiornamento delle offerte formative coincide paradossalmente con una dispersione di una parte significativa degli investimenti in essere per questa finalità.
La domanda di lavoro per giovani laureati è peggiorata nella seconda decade degli anni 2000 per le conseguenze del disallineamento tra i percorsi formativi e quelli lavorativi, ma anche per il mancato concorso alla formazione della domanda da parte della Pubblica amministrazione (blocco del turnover, la riduzione degli investimenti pubblici nelle infrastrutture e per i servizi digitalizzati, nella sanità e per il lavoro di cura) e dalla scarsa domanda di competenze medio elevate espressa dalle piccole e micro aziende che rappresentano il 90% delle imprese private e poco meno del 50% degli occupati.
In alcuni commenti dedicati a questo tema, con l’ausilio di alcune comparazioni statistiche con gli altri Paesi europei, abbiamo evidenziato l’impatto negativo del mancato concorso della spesa pubblica per gli investimenti e per l’impiego di risorse umane nel mercato del lavoro con effetti negativi per la domanda di giovani laureati, delle donne, e nei territori economicamente più deboli. La modernizzazione dei grandi servizi erogati dalla Pubblica amministrazione (fisco, sanità, catasto, mobilità, assistenza) ha concorso in modo decisivo all’utilizzo delle tecnologie digitali da parte del sistema produttivo e delle persone e alla crescita della produttività.
I fattori che concorrono alla formazione del mismatch sul versante della domanda e dell’offerta di lavoro meritano certamente delle analisi più approfondite approfondite. Lo scopo dell’articolo è quello di evidenziare la complessità del fenomeno e, di conseguenza, anche delle criticità che devono essere contrastate con proposte e comportamenti adeguati.
Il fenomeno del mismatch ha faticato a entrare nel dibattito pubblico. Non più tardi di tre anni fa, in uscita dal blocco dei licenziamenti disposto durante la pandemia Covid-19, si pronosticavano ondate di licenziamenti e di disoccupati bisognosi di assistenza.
I commenti politici e sindacali che accompagnano la pubblicazione dei dati occupazionali marcano la contrapposizione tra i sostenitori dell’esigenza di aumentare l’attrattività della domanda di lavoro con l’introduzione del salario minimo legale e di nuove normative per limitare l’utilizzo dei rapporti di lavoro flessibili; e il complesso, più variegato, degli opinionisti e delle forze politiche che manifestano l’esigenza di adottare delle politiche attive più rigorose, per limitare l’utilizzo improprio dei sostegni al reddito e per incentivare l’accettazione delle offerte di lavoro.
Abbiamo documentato in articoli precedenti l’utilizzo inappropriato della legislazione per rimediare problemi strutturali o che derivano da analisi e da comportamenti inadeguati. In questa sede ci limitiamo a constatare il rischio di offrire risposte banali a problemi complessi e che richiedono il concorso attivo di molti attori istituzionali, economici e sociali, che possono cooperare per offrire risposte più efficaci.
In un prossimo articolo cercheremo di evidenziare le priorità, i modelli della governance e le misure che possono concorrere a migliorare le caratteristiche quantitative e qualitative del nostro mercato del lavoro.
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