La Francia approva una legge restrittiva sul fine vita e parte il confronto con l'Italia, tra rischi etici e nuove contraddizioni sul diritto a morire.
È interessante chiarire alcuni punti del dibattito sul fine vita, che attualmente si svolge in Parlamento in Francia e in Italia, anche per evitare alcuni cortocircuiti mediatici, dall’evidente sapore manipolatorio. In molti sembrano impegnati a voler fare una legge a tutti i costi, magari evitando terminologie inquietanti, come la parola eutanasia, ma in realtà muovendosi nel solco di una proposta di morte concessa a chi la chiede, con la complicità di chi dovrebbe invece fare tutt’altro per alleviare dolore e sofferenza.
L’insistenza è su un fatto preciso: garantire morte certa a chi la chiede, perché questo diritto va garantito più di molti altri diritti. In una piramide dei diritti, il diritto a morireoccupa una posizione apicale, che sovrasta gli altri diritti.
Nel confronto tra Francia e Italia, prima di tutto vale la pena analizzare la tempistica: non è vero che in Francia sia cosa fatta e che l’Italia sia colpevole di un deplorevole ritardo! Se tutto andrà come desiderano i fautori della legge in Francia, la sua approvazione definitiva non avverrà prima del 2027… Tempistica analoga a quella italiana, se si giungerà ad avere la legge!
In entrambi i Paesi con un iter lungo e complesso, non scevro di ostacoli giuridici, etici, medici ecc. La legge, in Francia, dovrebbe essere approvata poco prima delle presidenziali, sempre che Macron la consideri ancora funzionale a una sua eventuale e problematica rielezione. Evidente il significato strumentale ed elettorale che il presidente francese attribuisce a questa norma, come possibilità di aumentare il proprio consenso.
Altro aspetto interessante: la Francia avrà due leggi e non una sola. Più o meno come potrebbe accadere in Italia. È stata approvata dal Parlamento francese solo pochi giorni fa la legge che oggi offre, a tutti i francesi, garanzia di accesso alle cure palliative. In Italia, da oltre 15 anni, la legge sulle cure palliative c’è, ed è un’ottima legge, ma non è ancora sufficientemente garantita in tutte le regioni.
Terzo aspetto: in Francia, la legge sul fine vita è definita “nuovo diritto”, «un’ultima libertà» offerta alle persone malate, gravi e incurabili, purché francesi, che sono in fase avanzata e «irreversibile, caratterizzata dall’aggravamento dello stato di salute che lede la qualità della vita». Si tratta di un nuovo diritto, promosso dal legislatore, che però configge con altri diritti e pone una pesante ipoteca proprio sul diritto alla cura.
Massiccia e compatta l’opposizione di tutte le religioni presenti in Francia: dai buddisti ai protestanti, passando per cattolici, ortodossi, musulmani ed ebrei, tutti hanno firmato un documento comune, chiaramente contrario. La legge sul fine vita è difesa soprattutto a sinistra, come avviene anche in Italia, con pochi dissidenti.
Attualmente, il modello francese appare più restrittivo rispetto a quelli in vigore in altri Paesi dell’Europa; per esempio, esclude i minori ed esige una richiesta scritta ed esplicita da parte del paziente, ma è noto come le maglie di ogni legge si vadano allargando progressivamente con l’applicazione della legge.
Ma la cosa più sorprendente della nuova legge francese, perfino scandalosa, è l’istituzione di un nuovo reato per chi impedisce il ricorso al diritto al fine vita (fino a 2 anni di carcere e 30 mila euro di multa), una clausola che ha fatto discutere, analoga a quella che difende il diritto all’aborto.
Nella patria dei diritti, nasce il diritto a suicidarsi e muore il dovere della compassione e della solidarietà; ossia il diritto a essere umani, con un vero e proprio capovolgimento antropologico.
La legge sul fine vita, in Francia come in Italia, è una legge difficile da scrivere e ancor più da applicare correttamente, perché il rischio di farne lo scivolo verso un’eutanasia diffusa e resa culturalmente accettabile è enorme. Evidenziarne i limiti reali e potenziali è obbligo non solo dei parlamentari che non ne condividono l’impianto, ma dell’intera società.
