Il priore del Convento degli Agostiniani di Santo Spirito (Firenze) è amico di papa Leone XIV. Ci racconta la personalità di Robert Prevost
Padre Giuseppe Pagano è priore del Convento degli Agostiniani di Santo Spirito a Firenze. Da quando si è scoperto che è un caro amico di Robert Francis Prevost, Papa Leone XIV, il suo telefono squilla in continuazione. È un fluire di aneddoti, di ricordi, tra gioia e commozione. Ieri nel discorso ai cardinali il Papa ha spiegato perché ha scelto di chiamarsi Leone, rifacendosi a Leone XIII e alle sfide di più di un secolo fa. Oggi, ha detto papa Prevost, si tratta di “rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”.
Le sfide cambiano, ma il cuore dell’uomo rimane lo stesso, e ogni agostiniano lo sa benissimo. “Sono convinto che la prima enciclica di Papa Leone XIV sarà in continuità con la Rerum Novarum”, pronostica padre Pagano parlando con Ilsussidiario.
“Sono un figlio di sant’Agostino”, ha detto Papa Leone XIV dalla Loggia di San Pietro. Cosa significa questo oggi?
Sottolineerei due aspetti, che fanno entrambi parte della nostra regola. Il primo è quello della comunione e dell’unità, che papa Leone infatti ha richiamato nel suo saluto. L’altro è quello della preghiera. Che il Papa abbia finito il suo saluto con l’Ave Maria ha un senso preciso: “Cristo ci precede”, ma la pace, l’unità, il dialogo si possono realizzare solo attraverso la vita interiore e la preghiera. Credo che oggi, soprattutto in una società segnata dalla dispersione, da contatti continui, social, telefonini, tv, questo richiamo abbia un valore molto forte.
Come mai secondo lei c’era un’attesa così grande del nuovo Papa?
Questa attenzione era ed è il segnale di un desiderio grande di Dio che c’è nel cuore delle persone. Nonostante il pessimismo di chi continua a ripetere che le chiese sono vuote, il cuore non cambia.
Quando ha conosciuto Robert Francis Prevost?
Nel 1983, a Roma. Eravamo studenti al Collegio internazionale Santa Monica. Lui era un giovane prete e studiava diritto canonico, io studiavo teologia e non ero ancora sacerdote. Trascorremmo alcuni anni insieme, poi ci siamo ritrovati anni dopo, quando lui era superiore generale dell’Ordine.
Papa Prevost viene da studi universitari di matematica. Matematica vuol dire rigore, esattezza. In che modo si declina questo aspetto nella sua personalità?
Si rispecchia nelle sue curiosità tecniche molto forti. Ha una grande passione per la conoscenza precisa dei meccanismi. La sua mente matematica però non traspare, perché ha un carattere mediterraneo, ed è molto alla mano: in missione si adattava a tutto. Quando tornava dall’Africa mi raccontava di avere mangiato scarafaggi abbrustoliti come noi mangiamo le patatine. E poi gli piace guidare, è un guidatore instancabile.
Ieri, nel suo discorso al collegio cardinalizio, ha spiegato che la Chiesa deve rispondere alla sfida posta dall’intelligenza artificiale. È sorpreso?
No, perché Papa Leone ha ben presente la Rerum Novarum di Leone XIII e desidera rinnovarne il percorso. Anzi, sono convinto che la sua prima enciclica sarà in continuità con quella.
C’è un tratto che unisce il saluto dalla Loggia delle benedizioni alla prima messa da pontefice, nella Cappella Sistina?
Sì, la centralità di Cristo. Lo dice il suo motto, In Illo uno unum. Nell’unico Cristo c’è la Chiesa, l’unità. È un elemento alla base della nostra formazione agostiniana: prima viene Cristo, poi vengono l’etica e le strutture della vita sociale. Il Papa ha subito augurato a tutti la pace, ma è la pace di Cristo risorto, non quella di Trump, Putin o Zelensky. Nemmeno la pace della persona più santa.
Come definirebbe papa Prevost?
Il Papa dei cinque continenti. Saprà abbracciarli tutti.
Ogni personalità, anche la più multiforme, ha un centro, una stella polare. Qual è quella di Robert Prevost?
Il desiderio di vivere la fraternità, l’unità. So con certezza che il commento dei cardinali è stato: abbiamo trovato in lui la persona che unisce, che può sanare le divisioni. Può sembrare semplicistico, scontato, ma non è così.
La persona capace di unire che cosa?
La Chiesa! Oggi abbiamo bisogno di ricreare unità nella Chiesa, di recuperare tutti coloro che si sono allontanati per vari motivi, dalla messa in latino alle questioni etiche.
Che cosa l’ha più colpita del Pontefice in queste prime ore di ministero?
Ha saputo comunicare subito con tutti, ha saputo guardare tutti e tutto. Mi è parso intercettare ognuno di coloro che stavano davanti a lui, ed erano migliaia di persone. Lui è così. Lo stesso si è visto quando la sera ha incontrato in modo informale alcune persone. Ma questa facilità di rapporto in lui ha un fondamento, Gesù Cristo risorto.
Qual è il suo ricordo più caro di Robert Francis Prevost?
La vicinanza dimostrata alla mia famiglia. Ha celebrato il matrimonio di mia sorella, venne a trovare mia madre nella casa di riposo in cui si trovava. Lasciò tutti gli impegni per venire al suo funerale, non potrò mai dimenticarlo. Non è scontato per un padre generale dell’Ordine, che ha sempre mille impegni.
Cosa può dirci della sua esperienza così cosmopolita?
Gli piace viaggiare, non gli pesa, anzi, ha una resistenza incredibile. È una sua caratteristica che potrebbe avere adesso un senso ancora maggiore. Io l’ho conosciuto quando era più giovane, ma vedo che sta bene, e vedrete che viaggerà.
Conoscendolo, crede che sarà più a suo agio in Sudamerica che negli Stati Uniti?
No, lui è a suo agio dappertutto, in Africa, Asia, America, Europa, Roma, e non si farà tirare la giacca da nessuno.
(Federico Ferraù)
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