“Che cos’è un problema? Un problema è un luogo d’incontro”. Così mi risponde uno dei pazienti residenziali ospiti di As.Fra., un plesso comprensorio di quattro comunità psichiatriche (due riabilitative e due protette), luogo nato dall’eredità spirituale e materiale, della vita e dell’opera di Adele Bonolis. Quella che ricevo da questo paziente è più di una risposta, è una dichiarazione di guerra all’anonimato della malattia mentale, a quell’isolamento in cui è stata confinata per molto tempo. Grazie a personalità come quella di Adele Bonolis, la strada difficile e scoscesa che porta verso un miglioramento delle proprie condizioni psichiche può essere pensata e vissuta come un itinerario possibile. La possibilità di non essere soli davanti al muro della malattia mentale, “le mura di Gerico” come le ha chiamate Alda Merini.
Ho la fortuna di prestare le mie competenze di psicologa in questo luogo di cura. Mi sono domandata spesso per quale motivo non sento la stanchezza di una giornata passata con questi pazienti. Perché? Un degente mi ha un giorno domandato “ma dottoressa, come fate voi, la sera, a liberarvi di tutto quello che vi abbiamo raccontato noi durante la giornata, come fate a sopportarci?”; ho sorriso, e ho guardato fuori dalla finestra, dove c’è un campo arato, fertile, che sta al di là della recinzione. Poi ho guardato il paziente e ho risposto: “Ma io non butto via niente; la sera, quando penso a quello che mi avete raccontato, lo tengo con me; tutto quello che mi dite è come un concime che rende fertile il mio campo”.
Ho ripensato tante volte a quella breve conversazione, che mi tiene sempre compagnia. Credo fortemente nell’essenza vitale che proviene dal dire dei pazienti; credo nell’energia che da loro emerge, tra le righe dei loro discorsi, talvolta difficili, anche molto difficili. Credo che la loro sofferenza, messa in relazione, sia sostanza nutriente. Credo nella parola scambiata con loro.
I pazienti mi insegnano a percorrere meglio la mia strada, perché, in qualche modo, da qualche parte, siamo intessuti della stessa umana energia, di uno spirito che impara a trascendere, e a spingersi su percorsi difficili, come quello di vivere in pienezza, senza nascondersi, neanche davanti alla malattia.
Possiamo accorgerci di come siamo, ognuno di noi, tutti lanciati all’inseguimento del nostro desiderio. Possiamo renderci conto che questa corsa non trova il suo senso nel traguardo, ma che la bellezza è nel panorama del percorso. E se facciamo attenzione davvero, vedremo compagni di strada che ci affiancano, con il loro desiderio e il loro senso; e allora, forse anche disordinatamente, iniziamo a provare una gioia strana a condividere questo percorso, a dare una mano a chi è lì che cammina con noi. Da soli che eravamo partiti, entriamo in legame, aiutiamo, ci aiutiamo, viviamo davvero. Il portatore di disagio mentale è un compagno di viaggio. Incontrarlo è una fortuna, riconoscerlo è un onore.
Valentina Da Rold
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