Caro direttore,
qualche tempo fa il sociologo Luca Ricolfi ha affermato che il vero leader “percepito” delle forze tuttora dette “di sinistra” in Italia è papa Francesco. Era evidente il tono della provocazione intellettuale, tuttavia l’osservazione coglieva nel segno laddove rilevava gli effetti dell’estrema debolezza corrente della politica del Paese: l’incapacità evidente della democrazia istituzionale di rappresentare e governare una società pur sorretta da forze propositive come anche quelle espresse da un “corpo intermedio” peculiare come la Chiesa cattolica (il Papa è il vescovo della capitale italiana).
Una riflessione analoga sembra riproporsi con più momenti in questi giorni per il nuovo Presidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Designato il 16 aprile scorso, insediatosi dodici giorni fa, Bonomi è divenuto rapidamente uno speaker pubblico centrale del dibattito pubblico. Anzi: un player forse unico del condurre una critica serrata e argomentata alla politica economica del Governo. Unico, alla fine, nel denunciare “tout court” l’inazione confusa dell’esecutivo e la paralisi del Parlamento in una fase difficilissima per il sistema-Paese. Voce singola, in ogni caso, nel proporre obiettivi e ricette chiaramente alternativi a quelli – evanescenti in annuncio e finora regolarmente inconsistenti alla prova dei fatti – delineati dal premier Giuseppe Conte e dalla maggioranza M5S-Pd-Iv-Leu.
Per Bonomi non vi sono dubbi che l’Italia debba far affluire tutti e al più presto i miliardi resi disponibili dalla Ue. Non vi sono dubbi che l’emergenza coronavirus imponga al sistema-Paese di soccorrere nell’immediato milioni di cittadini in grave difficoltà: forzando anzitutto ruggini e resistenze di una Pubblica amministrazione che dipende direttamente dal Governo. Ma per il Presidente di Confindustria non vi sono dubbi neppure che la vera “recovery” debba essere stimolata principalmente nella manifattura dell’Azienda-Paese: anzitutto con incentivi fiscali alle imprese perché investano, assumano, innovino ed esportino. Il semplice assistenzialismo – per di più inefficiente – può condurre il Paese soltanto a una crisi irreversibile e neppure in tempi troppo lunghi. La Fase 2 dell’emergenza – ha sferzato ieri su Repubblica – non può ridursi alle preoccupazioni di un’Italia alle prese con le ferie estive, anche se il turismo è un settore importante. Ma non è il più importante: lo sono di più i comparti dell’industria.
Puntate (anche) su di noi industriali e noi faremo di tutto per aiutare l’Azienda-Italia a uscire dalla depressione post-coronavirus (e post “decennio nero”): quello di Bonomi appare un impegno prima ancora che una richiesta di aiuti al Governo. Ed è in fondo curioso che né la Lega di Matteo Salvini, né FdI di Giorgia Meloni, né Silvio Berlusconi – ex Premier-imprenditore – stiano ponendo con decisione quest’agenda al centro della loro azione di opposizione parlamentare. Ed è forse per questo sui “media” Bonomi sta già assumendo il profilo di leader-ombra dell’opposizione: quasi certamente al di là dei suoi intenti, almeno immediati.
È un fatto che il contenuto e lo stile della comunicazione di Bonomi appaiano diametralmente opposti a quelli dei ripetuti “discorsi alla nazione” di Conte: Premier non eletto, due volte designato da M5S. Eppure non sta facendo – il neo-leader dei 100mila industriali italiani – nulla di più di quello che ci si attende dal capo di un consolidato corpo intermedio. E non stupisce affatto che – anche nell’intervista di ieri – il nuovo presidente di Confindustria solleciti i “rivali” corpi intermedi sindacali a riprendersi il loro ruolo. Sulla riforma della contrattazione – ha detto Bonomi al capo della Cgil, Maurizio Landini – c’è bisogno che le parti sociali tornino a confrontarsi: anche duramente, ma subito.
Forse la ricostruzione post-bellica sarebbe stata possibile senza Giuseppe Di Vittorio o il terrorismo sarebbe stato battuto senza Luciano Lama? Certo in quelle altre stagioni la classe politica del Paese era diversa, anzitutto c’era. Il Governo di solidarietà nazionale insediato il giorno del rapimento di Aldo Moro era guidato da un politico che a 28 anni era già sottosegretario alla Presidenza di Alcide De Gasperi e trent’anni dopo era il parlamentare più votato d’Italia.
Bonomi appare certamente conscio della responsabilità di scuotere all’interno il suo corpo intermedio confindustriale: le sue comunità territoriali e di categoria e le sue strutture associative. Parla apertamente di “errori” commessi “al Sud”, sulle frontiere delle “diseguaglianze fra centri e periferie”, indugiando nella retorica del “piccolo è bello” invece che puntare sulle “multinazionali tascabili a traino delle filiere”.
La Fase 2 italiana potrà probabilmente fare a meno delle innumerevoli “task force” messe in piedi dal Governo nella Fase 1, ma difficilmente potrà rinunciare a richiamare in campo i corpi intermedi, “task force” in servizio permanente. E a prova di rottamazione: almeno finora.