LETTURE/ Apuleio, fin dove si può trasgredire per conoscere l’altro (e se stessi)?

- Francesco Roat

Feltrinelli traduce e ripubblica “La favola di Amore e Psiche” di Apuleio, con testo latino a fronte. L’anelito dell’anima è rivolto alla conoscenza

canova amore psiche 1793arte1280 640x300 A. Canova, Amore e Psiche (1787-93), particolare

Apuleio ‒ l’autore in lingua latina, d’origine nordafricana, più illustre del II secolo d.C. ‒ ancora oggi è noto per la sua opera principale: le Metamorfosi (o L’Asino d’oro), sorta di protoromanzo dalla trama complessa, entro cui gemmano digressioni narrative che danno origine a svariati racconti e novelle, una delle quali però non ha nulla a che fare con tutte le altre storie del libro.

Si tratta de “La favola di Amore e Psiche”, incastonata come una pietra preziosa al centro del romanzo, di ampiezza e soprattutto di caratura letteraria maggiore rispetto ai capitoli che la precedono o la seguono. E bene ha fatto la casa editrice Feltrinelli a pubblicare questa narrazione ‒ con testo latino a fronte, per quanti l’hanno studiato al liceo e possono gustare le prelibatezze linguistico-espressive di Apuleio ‒, tradotta magistralmente/vivacemente da Stella Sacchini e arricchita da una puntuale postfazione di Alessio Torino.

Siamo dunque al cospetto di una vera e propria favola, che si apre (un po’ come la Biancaneve dei fratelli Grimm) all’insegna dell’invidia da parte di una figura femminile nei confronti di un’altra, perché ritenuta troppo bella. Qui non è una regina a rodersi per la pulcritudine della sua figliastra, bensì Venere, decisa a punire l’avvenente Psiche: adorata dal popolo più che la stessa dea. E dovrebbe essere il figlio di questa, Cupido/Amore, a mettere in atto la vendetta, facendo innamorare la ragazza del maggiormente abietto tra gli uomini.

Ma Cupido finisce per invaghirsi di Psiche, che egli rapisce e ne fa la propria sposa, imponendole tuttavia un divieto: lei non dovrà mai vederlo e i due potranno incontrarsi solo di notte, al buio, nel talamo nuziale. Ovviamente Psiche non obbedisce all’ingiunzione e Amore è costretto ad abbandonarla, finché la giovane ‒ dopo aver superato una serie di difficili prove ‒ verrà perdonata, riaccolta da Cupido e assunta persino tra gli dei.

Questa, in estrema sintesi, la trama di una storia che ha tutte le caratteristiche degli antichi racconti fiabeschi, così bene analizzati nel celebre saggio di Vladimir Propp Morfologia della fiaba (Einaudi), i quali altro non sarebbero che la narrazione fantastica delle arcaiche modalità di iniziazione tribale a cui i/le giovani dovevano sottoporsi per poter entrare a far parte degli adulti e quindi sposarsi, creando in tal modo una nuova cellula germinativa sociale: la famiglia. Gli/le adolescenti venivano pertanto allontanati dal villaggio e sottoposti a compiti da svolgere e/o prove da superare; solo una volta compiuto tutto ciò essi potevano far ritorno e venire poi reintegrati nella collettività di provenienza.

Anche Psiche è un’adolescente la quale, per poter divenire da fanciulla donna e giungere a una vera unione matrimoniale con Cupido, dovrà affrontare con successo una serie di difficoltà, che rappresentano per lei giusto una sorta di iniziazione, patita al fine di transitare dall’innamoramento all’amore, per dirla con Alberoni. In un certo senso Psiche deve guardare in faccia Amore per crescere, deve conoscerlo quale egli è davvero al di là degli amplessi, pur se intensamente passionali. A nutrire una relazione autentica e duratura, in effetti, non basta il miele della mera sessualità.

È altresì opportuno sottolineare che pure Cupido ‒ giovane come la sua compagna ‒ sia qui costretto a una evoluzione. Egli dovrà liberarsi dalla sudditanza infantile rispetto alla madre, e disubbidire a Venere, proprio come Psiche disubbidisce al divieto di scoprire chi è davvero il partner che si limita a giacere con lei per qualche ora nella notte. Ambedue i protagonisti sono costretti a maturare, in una metamorfosi che li fa consapevoli di se stessi e di chi rappresentano l’uno per l’altra alla luce del sole, ovvero all’infuori dei sogni e delle fantasticherie adolescenziali.

Così la curiositas di Psiche, che con una lampada illumina Cupido scorgendone le fattezze per la prima volta, non è banale curiosità ma desiderio di sapere. Infatti anelito dell’anima umana (psyche, in greco vuol dire appunto anima) è da sempre conoscere, apprendere nuove cose, uscire dal noto per aprirsi all’ignoto. Talvolta anche tramite una trasgressione; non dimenticando il significato etimologico di questo termine che indica l’atto di andare al di là, di procedere oltre; ed è perciò lecito ai giovani ‒ anzi direi, indispensabile ‒, varcare quantomeno i limiti angusti di consuetudini, conformismi o perbenismi, se vissuti come impedimenti alla propria autonomia esistenziale e alla propria crescita.

Ma giungere a sapere cosa davvero vogliamo e chi siamo è compito arduo. Bisogna prima investigare a fondo la nostra interiorità, esplorandone le sue zone oscure e misurandoci con fragilità, difetti, ambivalenze, paure e desideri inquietanti. Occorre sul serio una catabasi: una sofferta discesa agli inferi (che è quanto sarà costretta a fare Psiche come ultima difficile impresa); per quanto essi ‒ fuor dal mito ‒ siano costituiti dall’inconscio e dai demoni che lo abitano. Occorre dunque guardare in faccia senza tema quel mostro che è poi, junghianamente, l’Ombra presente in ognuno di noi, scoprendo che il suo è il nostro volto. Solo dopo sarà possibile l’anabasi, l’ascesa, ed elevarci alla dimensione della maturità/autenticità, che comporta sempre saper dare e ricevere amore.





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