Mauro Bonazzi è autore de "Il demone della nostalgia. L'invenzione della Grecia da Nietzsche a Arendt". Lo scandaglio di un'eredità combattuta e controversa

C’è un demone che continua ad agitare l’Europa. Non è maligno né benevolo, ma ci spinge a guardare a un passato che non abbiamo mai posseduto: la Grecia antica. È il “demone della nostalgia”, il filo conduttore del nuovo libro di Mauro Bonazzi, Il demone della nostalgia. L’invenzione della Grecia da Nietzsche a Arendt (Einaudi, 2025). Non la Grecia reale, ma quella reinventata da filosofi, poeti e intellettuali moderni, che vi hanno cercato identità, conforto, giustificazione o resistenza.



Bonazzi ricostruisce cinque grandi momenti di questa storia: Nietzsche e la tragedia, la Germania dopo la Prima guerra mondiale, Heidegger e Husserl, gli intellettuali ebrei in esilio, infine Arendt e Strauss nel dopoguerra. Il filo rosso è una nostalgia creativa, a volte pericolosa: una forza che ha alimentato tanto ideali quanto catastrofi.



Il viaggio comincia nel 1872 con La nascita della tragedia. Nietzsche, giovane professore a Basilea, demolisce l’immagine ottocentesca della Grecia come modello di armonia. In Omero e nella tragedia vede piuttosto il fragile equilibrio tra apollineo e dionisiaco, tra forma e caos. Per i filologi tedeschi era uno scandalo. Wilamowitz lo attacca con ironia, ma Nietzsche inaugura un nuovo paradigma: i Greci non come museo dell’armonia, ma come specchio perturbante della crisi moderna. Non più mito rassicurante, ma enigma vitale.

Il secondo capitolo ci porta nella Germania del primo dopoguerra. Platone diventa figura centrale per una nazione ferita dalla Grande Guerra e in spasmodica ricerca di riscatto. Wilamowitz, nel suo Platon del 1919, lo propone come guida morale e cavaliere dell’ordine culturale, morale ed educativo – ossia ciò che egli riteneva minato dalla guerra e dalla modernità decadente.



Werner Jaeger, con la sua Paideia, ne fa invece il fondamento di un programma educativo e spirituale di ampio respiro, volto a rifondare l’Europa a partire dal modello greco.

Nel circolo di Stefan George, poeta simbolista, Platone si trasforma in simbolo di un’élite aristocratica: attorno a lui si raccolse il cosiddetto George-Kreis, un cenacolo di intellettuali che influenzò la cultura tedesca tra le due guerre, proponendo una visione estetizzante e gerarchica della politica.

La nostalgia della Grecia diventa qui ideologia: i Greci come patrimonio esclusivo, modello per un’identità germanica che prepara il terreno al nazismo. Bonazzi mostra come il nazismo seppe appropriarsi, al momento opportuno, di questa Grecia “legittimante”. Ma segnala anche le reazioni critiche: Hans Kelsen, che già negli anni Venti e Trenta respingeva l’uso politico di Platone opponendovi una visione giuridica e democratica dello Stato, e Karl Popper, che nel 1945, con La società aperta e i suoi nemici, interpreterà Platone come padre del totalitarismo.

Il terzo atto è un duello intellettuale fra due dei più grandi pensatori della Germania del XX secolo. Per Edmund Husserl i Greci segnano l’inizio della razionalità universale, compito che fonda l’idea stessa di Europa: non un’identità chiusa, ma un’apertura inclusiva. Per Martin Heidegger, invece, i Greci sono l’origine autentica dell’essere, ma in chiave esclusiva: solo la Germania può raccoglierne davvero l’eredità.

La nostalgia diventa destino, e il legame Grecia-Germania si intreccia con le scelte politiche del filosofo nel 1933. Bonazzi mette in luce il contrasto: la Grecia come compito universale (Husserl) o come radice esclusiva (Heidegger). Due risposte opposte alla crisi europea.

L’europarlameto di Strasburgo (Ansa)

Il quarto capitolo è forse il più intenso. Negli anni Trenta e Quaranta, intellettuali ebrei in esilio tornano ai Greci da esclusi. Il confronto con Omero diventa qui un atto di resistenza. Erich Auerbach, nel suo Mimesis, oppone stile omerico e biblico per mostrare la pluralità delle radici europee. Simone Weil, nel saggio L’Iliade o il poema della forza, legge il poema come dramma della forza, che annienta vincitori e vinti. Rachel Bespaloff, in De l’Iliade, descrive Achille come eroe del risentimento, prigioniero della violenza. Adorno e Horkheimer, nella Dialettica dell’illuminismo, vedono in Odisseo il simbolo della ragione calcolatrice, una razionalità che emancipa ma anche domina. Qui la Grecia non è più mito positivo, ma è uno spazio di conflitto e dolore, uno spazio indagato e interrogato da chi cerca ancora un linguaggio per resistere alla catastrofe.

L’ultima scena vede protagonisti Hannah Arendt e Leo Strauss. Dopo il 1945, la domanda non è più come tornare ai Greci, ma cosa fare dei Greci. Arendt guarda alla polis come spazio della libertà politica: non un modello da imitare, ma una fonte di ispirazione. In questo quadro Bonazzi ricorda anche il breve scritto Socrate, in cui Arendt descrive il filosofo come cittadino che dialoga, che interroga, che mantiene aperto lo spazio comune. Un Socrate antidoto al Platone irrigidito in mito: non dottrina, ma dialogo. Strauss invece propone un ritorno a Platone come risposta al relativismo, alla ricerca di fondamenti stabili.

Bonazzi legge entrambi come “pescatori di perle”, secondo l’immagine che Arendt aveva ripreso da Walter Benjamin. Era stato Benjamin a descrivere lo storico come colui che scende negli abissi del passato e riporta in superficie frammenti preziosi. Arendt fa sua questa metafora e la applica agli antichi: non sistemi da copiare, ma tracce da far brillare di nuovo.

Il libro colpisce per la sua capacità di unire rigore e passione narrativa. Bonazzi conosce i testi antichi e moderni con precisione, ma li racconta con uno sguardo che sa tenere insieme filosofia e storia europea. Il suo merito maggiore è mostrare come i Greci non siano mai stati solo “classici”, ma sempre contemporanei. Nietzsche li usa per denunciare la crisi moderna; Wilamowitz e Jaeger per rifondare l’identità tedesca; Heidegger per proclamare un destino esclusivo; Auerbach, Weil e Adorno per resistere all’orrore; Arendt e Strauss per immaginare nuove possibilità. Ogni volta la Grecia cambia volto, perché cambia lo specchio in cui ci guardiamo.

Il demone della nostalgia, allora, non è un vizio erudito, ma una condizione costitutiva dell’Europa. Non c’è ritorno possibile a Itaca, ma il viaggio è ciò che conta, come scriveva il grande poeta greco moderno Konstantinos Kavafis, nella celebre lirica Itaca, invitandoci a vivere il cammino più che la meta. E in questo viaggio i Greci continuano a essere i nostri esigenti e indispensabili compagni di strada.

In un’epoca in cui l’identità europea è di nuovo in discussione, Bonazzi ci ricorda che la nostalgia dei Greci è stata spesso un’arma a doppio taglio: capace di ispirare ideali di bellezza e libertà, ma anche di giustificare esclusioni e violenze.

La sfida, oggi come allora, è non cadere nei miti rassicuranti, ma avere il coraggio di guardare ai Greci per quello che furono: un popolo che seppe affrontare il dolore e inventare forme nuove per dare senso alla vita. Qui torna utile la metafora del “pescatore di perle”: Benjamin la usò per descrivere lo storico, Arendt la riprese per definire il proprio rapporto con la tradizione.

E Bonazzi la fa risuonare ancora: possiamo scendere nei fondali della Grecia, riportare in superficie frammenti vitali, senza esserne prigionieri. Il “demone della nostalgia” non è allora un fantasma del passato, ma una forza che ci abita ancora e che ci costringe a pensare.

In fondo questo è il destino dell’essere umano: riflettere incessantemente sulla propria identità, perché, come ricordava Eraclito di Efeso, è così profondo il logos che appartiene all’anima che è impossibile trovarne i confini.

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