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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Cardini e la “deriva dell’Occidente”: siamo le rovine dell’arroganza Usa (e non solo)

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LETTURE/ Cardini e la “deriva dell’Occidente”: siamo le rovine dell’arroganza Usa (e non solo)

Danilo Zardin
Pubblicato 12 Gennaio 2024 - Aggiornato alle ore 13:25
La città di Erfurt in una raffigurazione del 1493 (da Wikipedia)

La città di Erfurt in una raffigurazione del 1493 (da Wikipedia)

Nel saggio "La deriva dell'Occidente", ultimo lavoro di Franco Cardini, si tocca lo sforzo di sintesi di un vero maestro della ricerca storica

Il titolo è provocatorio, come in diversi altri saggi recenti di Franco Cardini, grande esperto dei rapporti tra l’Occidente di matrice cristiana e il più vicino Oriente egemonizzato dall’espansione dell’islam in età medievale e moderna. Ma basta scorrere le prime pagine di questo nuovo contributo (La deriva dell’Occidente, Laterza, 2023) per avere la chiara percezione che qui non ci si trova di fronte alle improvvisate ricostruzioni apocalittiche di qualche polemista alla ricerca di facili clamori, bensì allo sforzo di sintesi di un vero maestro della ricerca storica, desideroso di fare del suo bagaglio di erudizione uno strumento per leggere più acutamente la realtà in cui siamo immersi.


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Il punto decisivo intorno a cui ruota l’impianto del volume è la critica dell’idea di “occidentalizzazione” come linea dominante e criterio supremo di decifrazione dello sviluppo che ha portato fino al nostro presente. Cardini evidenzia il retroterra unilateralmente imperialista, a senso unico, di questa concezione della storia largamente condivisa nel pensiero comune. È una prospettiva che discende dal mito dell’intrinseca superiorità del modello occidentale, articolato secondo le configurazioni raggiunte dopo l’approdo allo stadio più avanzato della modernità. Da qui deriva una sorta di predestinazione obbligata, in senso messianico e laicamente provvidenzialista, alla conquista “civilizzatrice” dell’intero contesto planetario, che finisce per nasconderne gli squilibri generati da una volontà di potenza pesantemente aggressiva, se non dispoticamente assimilatrice.


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Sulla strada aperta dal trionfo delle vele e dei cannoni degli Stati-leader del vecchio scacchiere europeo, il primato di una economia-mondo sempre più gravitante sugli spazi d’oltreoceano e intorno al nuovo astro emergente del colosso nordamericano ha potuto affermarsi solo attraverso svariate forme di “assoggettamento, di sottomissione e di sfruttamento” che hanno reso possibile la crescita di un centro fagocitante a spese di periferie coloniali progressivamente depredate, ridotte in una posizione di dipendenza subalterna. Svuotandole delle loro risorse autonome, le si è costrette ad appiattirsi sulle linee di un progresso univoco, regolato dalle leggi di una ristretta cabina di regia universalista.


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Si intuisce che l’assorbimento in una gigantesca rete di interdipendenze economiche e materiali, imposte facendo ricorso anche a metodi rudemente invasivi, non di rado violenti e rapinatori, ha trascinato con sé, a lungo andare, la spinta all’omologazione dei consumi, delle aspettative culturali e delle visioni ideologiche, in larga parte extra- o post-religiose, della natura dell’uomo e del suo destino nel regno dell’esistenza. L’imperialismo delle merci si è così intrecciato inevitabilmente a quello dei costumi sociali vincenti, delle forme organizzative del diritto e della politica, della crescente erosione in senso livellatore delle identità e delle differenze, a favore di un babelico “post-moderno” incentrato, come indirizzo di fondo, sull’individualizzazione esasperata dell’etica collettiva in un contesto secolarizzato, a una sola dimensione, o dove della religione si propone un riuso ridotto e strumentale.

Un risvolto di grande attualità della rilettura anti-apologetica dell’occidentalizzazione globalista è la messa a tema del declino dell’antica roccaforte europea. Secondo Cardini, è solo nella cornice della più recente contemporaneità che l’emergere del liberismo di marca occidentale del XX-XXI secolo in quanto forma di pensiero egemone, strutturalmente bisognoso di contrapporsi al Nemico esterno per rafforzarsi al suo interno e, d’altra parte, radicalmente diverso nella prassi reale dalla nobile reputazione rivendicata a livello ideale, ha prodotto l’effetto di comprimere in una sostanziale insignificanza il ruolo dell’Europa come perno degli equilibri internazionali e soggetto promotore dell’elaborazione della cultura che orienta la vita dei popoli.

Una simile marginalizzazione, resa evidente dall’esplosione dei più cruenti fronti di crisi degli ultimi anni, è un fenomeno che viene in altre parole accostato alle ultime evoluzioni dei rapporti tra i diversi ambiti di organizzazione politico-statuale formatisi in quel crogiolo intercontinentale, dilatato sulle due sponde gemelle dell’Atlantico settentrionale, in cui riconosciamo il volto più tipico e originario dell’Occidente per antonomasia dei nostri tempi.

La perdita della capacità di incidenza dell’Europa sul piano dei destini complessivi del mondo, nell’interpretazione senza mezzi termini di Cardini è da vedere collegata, in primo luogo, al collasso del sistema di controllo diarchico dell’ordine internazionale introdotto dopo la fine della lunga guerra civile interna al contesto europeo sfociata nelle due guerre mondiali e nella lotta contro i totalitarismi del Novecento. L’implosione del blocco sovietico-comunista ha lasciato libero il campo per l’enuclearsi di un nuovo assetto egemonico a trazione imperiale americana (appunto: occidentale, nel senso acquisito al culmine della modernità), condiviso con una corona di Paesi complementari e, di fatto, in larga parte satelliti, all’interno del cui variegato mosaico l’Europa tradizionale rischia sempre più di ridursi, come l’hanno dipinta i più severi detrattori, a una povera retrovia “retta da antiquati tirannelli”.

Il polo egemonico occidentale ha inseguito nel Novecento la strategia di espandersi anche sul fronte dell’altro spazio oceanico compreso tra le Americhe e il vasto arcipelago asiatico, creando una sorta di “anglosfera” proiettata in direzione di un progressivo accerchiamento delle potenze terrestri dominatrici delle aree a cui l’Occidente ha guardato come suo terreno di fisiologica e in tutto legittima espansione: è la missione a cui lo hanno chiamato le sue frange più bellicosamente militanti. Ma i fulcri più robusti di un fronte extraoccidentale che va dal mondo arabo-islamico al subcontinente indiano, dalla potenza cinese con il suo dilagante capitalismo di Stato al nuovo nazionalismo militarizzato della Russia post-sovietica hanno intralciato con rigurgiti anche di violenza distruttiva il progetto suprematista di un Occidente sempre meno eurocentrico e sempre più americanizzato. Mostrando il suo volto più brutale, la storia si è rimessa in moto, commenta lapidario Cardini, o forse si può dire che riprende a “spezzarsi”. Il ritorno di Marte che insanguina ormai anche le terre più prossime al Mediterraneo è lo scenario di un multipolarismo conflittuale, caotico e senza apparenti vie di uscita che vadano al di là della pretesa di una schiacciante vittoria di una delle parti in conflitto contro le altre.

Ma il caos è quanto mai arduo da governare. E nel cumulo di sofferenze delle sue vittime si consuma la tragedia attuale di ogni pretesa di dominio che annulla la pluralità e si sottrae alla negoziazione della difficile convivenza tra i diversi.

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