Tommaso d’Aquino (1225-1274) merita certamente di essere riscoperto e riletto. Lo fa un recentissimo saggio di Giuseppe Savagnone

Difficile nella società della comunicazione digitale leggere un autore della scolastica medioevale come Tommaso d’Aquino, di cui ricorre l’ottocentesimo anniversario dalla nascita. E ciò non soltanto per l’estensione della sua opera, di cui sembra difficile proporre una sintesi, ma anche perché talora si pensa erroneamente che il suo pensiero sia una sorta di catechismo privo d’interesse per il filosofo d’oggi oppure una mera traduzione di Aristotele in salsa cristiana. Per cui tanto varrebbe la pena leggere il più laico e obiettivo originale.



Può certamente aiutare a introdurre al suo pensiero una buona presentazione che sia fedele, il più possibile chiara e che ne esalti con misura l’attualità. Il recente volume di Giuseppe Savagnone, Lo stupore dell’essere. Il pensiero alternativo di Tommaso d’Aquino (Marcianum Press, 2025) fa proprio al caso nostro.



Non possiamo che limitarci a qualche breve cenno sul suo contenuto. Innanzitutto, alcune osservazioni di metodo: contro il rischio del narcisismo che contraddistingue spesso l’intellettuale di oggi, “l’originalità dello stile dell’Aquinate si manifesta, paradossalmente, nel suo rendersi invisibile per lasciare spazio all’oggetto della ricerca”.

Inoltre, se oggi è diventato un problema capire che cosa distingue l’intelligenza artificiale da quella umana, “forse è perché quest’ultima viene spesso concepita e usata come quella artificiale. La via per ristabilire la differenza è allora di ricuperare la dimensione umana del pensare”. E questa dimensione è contraddistinta essenzialmente proprio da quello stupore di fronte all’essere e al bene che è possibile per Tommaso grazie alle prime evidenze dell’intelletto.



Savagnone cita, per contrasto, l’affermazione di Francis Bacon che è all’origine dell’età moderna secondo cui la scienza “distrugge la vana ed eccessiva meraviglia per le cose che è la sorgente della debolezza nel giudicare”. Proprio l’opposto della posizione di Platone, Aristotele e soprattutto di Tommaso.

Quest’ultimo insiste sul miracolo della realtà del mondo che è attuata dall’atto d’essere, che è ontologicamente bene e che oggi si ripresenta con forza come esigenza della sensibilità ecologica: “i sostenitori dell’ecologismo hanno riscoperto la dottrina del bene ontologico, che era fondamentale nel pensiero di Tommaso d’Aquino”.

In quanto creatore, il Dio di Tommaso sottende intimamente e insieme discretamente alla realtà del mondo. E proprio per questo essa ha una sua bontà e autonomia che permette di lasciare spazio all’evoluzione della natura secondo sue proprie leggi e pure al processo storico. Afferma, infatti, l’Aquinate: “Togliere perfezione alla realtà creata significa togliere perfezione alla divina natura”.

Il senso della realtà ultimamente come Mistero, sovrabbondanza d’intelligibilità, in cui Dio è al centro, è particolarmente attuale in un’epoca come la nostra, in cui l’uomo si sente isolato, solo con sé stesso, senza più un oggetto adeguato alla sua strutturale apertura all’infinito.

Non a caso Tommaso afferma che “ogni peccato si fonda su qualche appetito naturale; e […] l’uomo con qualsiasi appetito naturale desidera la somiglianza divina, in quanto ogni bene naturalmente desiderato è una certa somiglianza della bontà divina. La tensione verso Dio non viene meno neppure nell’individuo più spregevole e nel malvagio che resta sempre un essere umano”.

Per cui è sempre possibile un cammino di conversione da uno scopo della vita più limitato a uno più comprensivo. Anziché una morale intesa come complesso di soffocanti doveri, traspare in Tommaso una concezione della positività della vita e dell’agire, dove l’amore di sé non è in contrasto con l’amore di Dio anche solo implicitamente conosciuto e amato.

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