Jón Kalman Stefánsson è uno dei più amati scrittori e poeti nordici, tradotto in oltre trenta lingue. Una narrativa legata alle domande esistenziali

Jón Kalman Stefánsson (Reykjavik, 1963), uno dei più amati scrittori nordici, poeta e narratore tradotto in oltre trenta lingue, è stato recentemente ospite del centro Culturale di Milano all’interno del ciclo di incontri “Quel che può la letteratura”.

Il titolo del dialogo tra l’autore islandese e un folto pubblico di lettori appassionati ai suoi romanzi e alle sue poesie, “Riportami il mondo. Uno scrittore di fronte alla vita”, si è rivelato promessa mantenuta di un incontro con un uomo capace di manifestare il suo cuore agli uomini, come auspicato  nella Lettera del Santo Padre Francesco sul ruolo della letteratura nella formazione: “Come possiamo raggiungere il centro delle antiche e nuove culture se ignoriamo, scartiamo e/o mettiamo a tacere i loro simboli, i messaggi, le creazioni e le narrazioni con cui hanno catturato e voluto svelare ed evocare le loro imprese e gli ideali più belli, così come le loro violenze, paure e passioni più profonde? Come possiamo parlare al cuore degli uomini se ignoriamo, releghiamo o non valorizziamo ‘quelle parole’ con cui hanno voluto manifestare e, perché no, rivelare il dramma del loro vivere e del loro sentire attraverso romanzi e poesie?”.



L’opera di Stefánsson si distingue per una lingua di singolare ricchezza evocativa e per uno stile letterario originale in cui poesia e prosa si fondono, valorizzando le potenzialità estetiche ed euristiche di entrambe. Uno stile che si innesta nella tradizione delle saghe nordiche, i cui personaggi sovente “si esprimono facendo uso delle forme tradizionali della poesia nordica, in particolare – ma non solo – del metro epico per eccellenza, il fornyrðislag, tanto che per alcuni di questi testi si tende a utilizzare la definizione di prosimetro allo scopo di sottolineare la compresenza di sezioni in versi e di sezioni in prosa” (Fulvio Ferrari).



Ma Stefánsson non si limita a giustapporre prosa e poesia, bensì pare far scaturire dalla prosa stessa la potenza evocativa e metaforica della poesia, raggiungendo una fusione che permette al lettore di lasciarsi trasportare nel mondo possibile della narrazione e contemporaneamente di raggiungere la conoscenza del vero universale e profondo ricercato nella versificazione poetica, in quella parola che si fissa indelebilmente nella memoria.

I suoi romanzi sono ambientati in Islanda, in varie epoche, con una concezione del tempo che ne supera la linearità, perché tutto pare presente nella coscienza di chi vive intensamente la propria esistenza, eliminando in un certo senso perfino il confine tra i vivi e i morti: “può essere difficile trovare una logica nel tempo, che è connaturato al paradosso; e con questo può aver senso affermare che la maggior parte di noi vive in qualsiasi epoca”, scrive nella sua autobiografia di recente pubblicazione.



Più volte nominato al Premio del Consiglio Nordico, con Luce d’estate. Ed è subito notte (scritto nel 2005) ha ricevuto il Premio Islandese per la Letteratura. Iperborea ha pubblicato molte delle sue opere tradotte in italiano da Silvia Cosimini, tra cui segnaliamo la trilogia Paradiso e inferno (2011), La tristezza degli angeli (2012), Il cuore dell’uomo (2014), e gli ultimi editati La tua assenza è tenebra (2022) e l’autobiografia Il mio sottomarino giallo (2024).

Il dialogo con l’autore ha permesso di approfondire i tratti essenziali dei temi a lui più cari. Temi urgenti che la letteratura scandinava non ha timore di affrontare, come sosteneva già negli anni 90 Emilia Lodigiani, fondatrice della casa editrice Iperborea, che ha il pregio di averla introdotta in Italia: “La letteratura scandinava è altamente esistenziale, osa ancora farsi le grandi domande e crede ancora nella forza del narrare e del romanzo. Crede che sia la parola a dare senso alla vita, che spieghi e permetta di rendersi conto di quello che si fa. Il racconto, perciò, è legato alla domanda esistenziale, è un tentativo di risposta”.

Il primo tema affrontato nell’incontro è stato proprio il valore della parola, necessaria per vivere: “forse non abbiamo bisogno di parole per sopravvivere, ne abbiamo bisogno per vivere”, scrive Stefánsson in Paradiso e inferno, il primo romanzo della trilogia che lo ha reso celebre in Italia.

Un racconto di gente di mare islandese, di un Ragazzo, di cui non si saprà mai il nome, e del suo grande amico Bárður, pescatore di merluzzo per necessità, ma in realtà poeta, sognatore, innamorato dei libri e delle parole. Parole che per lui si rivelano fatali: rapito da un verso del Paradiso perduto di Milton, prima di imbarcarsi dimentica a terra la cerata che lo avrebbe salvato dal gelo. Il Ragazzo si trova così solo, alla ricerca di uno scopo per cui vivere e di un luogo, una casa che possa accoglierlo, e inizia il suo viaggio, paradisiaco e infernale al contempo, la sua Odissea (che si concluderà nell’ultimo romanzo della trilogia, Il cuore dell’uomo).

In islandese, diceva Stefánsson, esiste un termine per indicare il poeta che unisce krafti (potere) e poeta (skáld): la parola può guarire e può anche uccidere. Essa nasce e cresce nel rapporto con la realtà, strumento insostituibile per conoscerla e al contempo per modificarla, e in tal senso è strettamente legata al desiderio della felicità, la quale va ricercata nella vita stessa, senza mai smettere di domandare: “vivere è molto più complicato. Non basta trovare una corda, anche se di ottima qualità, per vivere ci vuole ben altro, la vita è un percorso lungo e complesso, vivere è fare domande” (idem).

Tra gli altri temi emersi nel dialogo, ampio spazio è stato dedicato alla natura, protagonista importante dei suoi racconti. “Mare, montagne, valli, fiordi, condizioni atmosferiche estreme, che a volte tolgono il fiato mentre si legge, riempiono le pagine dei suoi libri e spesso diventano paesaggi dell’anima dei suoi personaggi, perché ciò che accade nel mondo si specchia nel cuore delle persone e viceversa: “Ha la testa congelata e il cervello si è trasformato in un immenso acquitrino ghiacciato, un terreno coperto di brina e di gelo a vista d’occhio, completamente privo di vita in superficie ma sotto il quale cova una debole brace, ricordi, volti, frasi, nulla mi è delizia, tranne te” (Alessandro Baro).

La natura, sottolineava Stefánsson, non è né buona né cattiva, semplicemente è. Ed è viva, in modo estremamente sensibile per un islandese che vede la sua terra modificarsi continuamente sia nel clima sia nella configurazione geologica, vista la presenza di vulcani in perenne attività: un’isola, una terra, da cui ogni islandese pensa ben presto di andarsene, ma dove vuole continuamente tornare. “Nel romanzo Luce d’estate. Ed è subito notte l’Islanda è un posto in cui la solitudine è palpabile, ma che allo stesso tempo genera un amore profondo e indissolubile per la terra. In molti dei personaggi del libro emerge il desiderio di distaccarsi, di andare a vedere il mondo, per poi ritornare. Mathias, per esempio, ritorna dopo sei anni di viaggio intorno al mondo, ma alla fine si rifugia nell’amata Islanda. Benedikt, dopo aver vissuto la sua crisi, compie un viaggio a Londra, ma anche lui sente la necessità di tornare. In un modo o nell’altro, l’Islanda resta il centro gravitazionale di queste vite, un luogo che attrae e respinge, ma che, in fin dei conti, è la casa da cui non ci si può mai veramente staccare” (Antonia Chiesa).

Oltre al valore della parola nel suo nesso con la felicità e alla natura come personaggio con cui vale sempre e comunque la pena dialogare, il terzo tema di particolare rilievo emerso nell’incontro, che trova ampio spazio ne Il mio sottomarino giallo, è sicuramente quello dell’amore e dell’amicizia, necessari per vivere e per compiersi nella libertà.

“Protagonista dei libri di Stefánsson è l’amore, in tutte le sue declinazioni e forme: l’amore per una donna, il legame con un amico, la compassione, l’attenzione al bisogno di un altro, l’istinto sessuale, la capacità di sacrificio, l’amore al proprio bene. Viene rappresentata una grandissima mappa di rapporti, di sentimenti, di storie, in una prospettiva corale,  che spesso lascia il protagonista come spettatore attivo e generoso della vita degli altri, ma questa varietà ha come matrice comune il desiderio di affermare la vita, ad ogni costo, anche attraverso il sacrificio: la vita non può iscriversi in una geometria, in un ordine solido, ma si esprime attraverso il groviglio, le contraddizioni di personaggi che cercano e donano soprattutto amore, magari in modo imperfetto. Eppure l’autore evidentemente cerca un ordine e alla fine della trilogia, ne Il Cuore dell’uomo, questo emerge nettamente” (Sonia Zerbinati).

Dall’esperienza della parola nella sua forma più potente di poesia al rapporto amoroso e totalizzante con la natura, dal prepotente desiderio di felicità di ciascuno all’urgente bisogno di condivisione con l’altro, sia esso la donna, l’amico o l’uomo appena incontrato, questo intenso dialogo con un pubblico eterogeneo per età e formazione si è rivelato un vero incontro con un uomo innamorato della vita e che cerca nella poesia la via per interrogarla ed amarla.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI