Rileggere oggi "Il Principe" di Machiavelli può aiutare, se non a comprendere integralmente, perlomeno ad orientarsi nel dramma degli eventi
È sempre difficile fare paragoni tra le età storiche, soprattutto mentre le si sta vivendo, ed applicare le riflessioni del passato al presente. Tuttavia succede talvolta che, quasi d’istinto, la mano corra in libreria a certi classici, nella speranza di trarre un soccorso.
Così, rileggere oggi Il Principe di Niccolò Machiavelli, può aiutare non dico a comprendere, ma perlomeno ad orientarsi di più nel dramma della storia contemporanea, che sconvolge la vita di centinaia di migliaia di persone in diversi angoli del mondo.
Machiavelli, dopo aver esercitato in prima persona una responsabilità politica nella sua Firenze (è questo un fattore poco considerato: moltissimi filosofi antichi e moderni in realtà sono stati anche importanti uomini politici) scrive un piccolo trattato sull’arte del governo, come si usa dire, “iuxta propria principia”, cioè emancipata da princìpi ad essa esterni.
Siamo nei primi decenni del 1500, un’età che concentra grandi eventi e mutamenti politici (la nascita degli Stati nazionali), militari (le guerre d’Italia e di Germania), culturali (la grande stagione dell’arte italiana) e ovviamente religiosi (le riforme protestanti).
Machiavelli non prescrive, ma osserva. E, con realismo, prendendo spunto dalla storia, spiega ai prìncipi come loro stessi agiscono. Rileggiamo dunque alcune sue pagine, tenendo presente Trump, Putin, Netanyahu, Khamenei, Xi Jinping e molti altri leader d’oggi.
Nel capitolo VIII scrive che le crudeltà si possono dire bene usate “se si fanno ad un tratto”, cioè intensivamente e velocemente, perché “le ingiurie si devono fare tutte insieme, acciocché, assaporandosi meno, offendano meno”.
E nel capitolo XVIII scrive che “due sono le generazioni (i modi, ndr) di combattere, l’uno con le leggi, l’altro con la forza. Il primo è proprio dell’uomo, il secondo delle bestie: ma… a un Principe è necessario sapere bene usare la bestia e l’uomo”. Anche, se necessario, con il delitto.
Non è ovviamente tutto qui il testo di Machiavelli. A leggerlo per intero si trova una grande sottolineatura della necessaria razionalità dell’azione politica. E si trovano considerazioni geniali sul rapporto tra fortuna e virtù, oppure attualissime riflessioni sull’importanza della comunicazione pubblica del potere. Ma, certo, il crudo realismo di Machiavelli, che affonda le radici in una interpretazione pessimistica dell’antropologia agostiniana, è una buona chiave di lettura dell’oggi.
Dopo l’invasione dell’Ucraina stiamo assistendo ad un’impressionante escalation di prove di forza militari. Sappiamo che la forza è sempre stata leva della storia, ma sembra che oggi non abbia più remore. All’inizio del Cinquecento i prìncipi si muovevano in un mondo in cui i due grandi princìpi universali (con l’accento sulla seconda i), Papato e Impero, erano tramontati.
Analogamente oggi i cosiddetti valori condivisi sono carta straccia, calpestati se non addirittura presi di mira dai tank, come accade alle forze dell’Onu o della Croce Rossa in Medio Oriente.
L’incarnazione del Principe per Hegel era lo Stato, per Gramsci il Partito. La mia edizione dell’opera, curiosamente, ha una chiosa di Bettino Craxi. Per lui il nuovo Principe era la democrazia. Non depone a favore dell’ottimismo considerare che né gli Stati, né i partiti e neppure le democrazie godono di buona salute. Nel caso dei primi due verrebbe da dire per fortuna.
Comunque, negli anni in cui Machiavelli scriveva Il Principe, Leone X, un papa discusso, rampollo di banchieri e neppure sacerdote al momento dell’elezione, riuscì a mediare tra Francia e Spagna una buona pace, fragile, ma pur sempre indicativa di un possibile accordo (che si concretizzò quarant’anni dopo).
Oggi la prima parola di un altro Leone, il quattordicesimo, è stata: Pace! I prìncipi, scrive ancora Machiavelli, si muovono sempre sul filo del rasoio tra l’ordine e il caos. In mezzo sta la Chiesa, oggi disarmata, ma ancora profetica.
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