Nel suo saggio "La Donna eterna" (1934) la scrittrice tedesca Gertrud von le Fort riflette sul volto cosmico-metafisico della donna (1)
“Mille anni, ai Tuoi occhi, sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte”, così un umile uomo di Dio migliaia di anni fa confessò la propria relatività temporalmente condizionata, elevando in timore reverenziale la sua preghiera all’Eterno (Sal 90, 4). Cento anni fa, una donna umile e saggia scrisse: “Ogniqualvolta la creatura accede al pensiero dell’Eterno, non viene più affermata la creatura, bensì viene affermata l’Eternità di Dio – Lui solo è eterno. […] Nel pensiero dell’eternità la creatura confessa la sua propria relatività, e solo in questa confessione si confessa anche l’Eternità a lei” (G. von le Fort, Die Ewige Frau [1934], München 1951; tr. it. di G. Federici Ajroldi, La Donna eterna, Milano 1945).
Fondando la sua impressionante meditazione sulla plurisecolare dogmatica cattolica, Gertrud von le Fort contempla con occhio semplice (Mt 6, 22) il mistero del femminile, il “volto cosmico-metafisico della donna”, vale a dire la “Donna eterna”, la quale non è un impersonale, disincarnato principio astratto (come invece il neutro æternum femininum farebbe intendere), bensì una donna scelta tra tutte le donne – quanto al “velo” della sua umiltà, velata “serva del Signore”, quanto alla Gloria di Dio, Regina assunta e incoronata in Cielo, che la Chiesa fermamente proclamò Theotókos, Madre di Dio, ed il sommo poeta invocò come “Vergine madre, figlia del tuo figlio”. “Solo questa Unica, benché sia infinitamente di più che il simbolo del femminile, tuttavia ella è anche simbolo del femminile: solo in lei il mistero metafisico della donna ha preso forma ed è perciò divenuto comprensibile”.
Dal dogma dell’Immacolata, dal fiat della Vergine Maria, la “mediatrice di tutte le grazie”, scende un raggio nitidissimo sulla vera immagine del genere umano e della sua cooperazione, nel quotidiano rinnegamento di sé (Mt 16, 24), alla Redenzione operata da Cristo: “Il tratto passivo-ricettivo del femminile, nel quale la filosofia antica vedeva il mero negativo, si presenta nell’ordine cristiano della Grazia come il tratto positivo-decisivo”.
La Donna eterna rischiara il significato della “duplice rivelazione” dell’essere della persona umana sulla terra, come risulta manifesto nella preghiera delle Litanie Lauretane, ove Maria è venerata sia mediante l’immagine femminile della rosa mystica, sia mediante quella maschile dello speculum iustitiæ, lo “specchio della giustizia”. “Maria in quanto rappresentante dell’intera creatura rappresenta in ugual modo uomo e donna”.
Alla verità biologica – osserva la scrittrice e poetessa –, secondo cui il fiorire di popoli e di società dipende ultimamente da vere madri, corrisponde ad un livello superiore la verità del “mondo spirituale”, il quale “esige non solo l’uomo che indichi la direzione, bensì altrettanto la madre”, perché la donna, in quanto madre, esprime il segno autentico della cooperazione dell’uomo alla Salvezza mediante la sua umile disposizione di fondo di ricettiva accoglienza e d’incondizionata dedizione: “La creatura non è mai redentrice, ma dev’essere corredentrice. Ciò che è propriamente creatore e creativo può solo essere accolto. Anche l’uomo accoglie lo Spirito Creatore nel segno di Maria, in umiltà e dedizione, o non lo accoglie affatto. […] Giacché il mondo può sì esser mosso dalla forza dell’uomo, ma viene benedetto nel vero senso della parola sempre solo nel segno della donna. La dedizione a Dio è l’unico potere assoluto che la creatura possiede: solo la ancilla Domini è la regina Cœli”.

Dal dogma della verginità perpetua di Maria discende l’alta stima della verginità della donna e il riconoscimento della sua inesauribile forza, che si dispiega in modo oggettivo eminentemente nella sua “maternità spirituale”, poiché qui vale l’assioma: “Ogni risparmio di energia in un posto significa la possibilità del suo impiego intensificato in un altro posto. Secondo tale concezione, dunque, la verginità non è affievolimento della capacità operativa, bensì commutazione della medesima capacità”.
Cionondimeno la donna, in quanto vergine, svela “il senso e il valore ultimo” dell’essere persona, dato che ella è caratterizzata da una “assenza terrena di prestazione” che si mostra nell’“assenza di matrimonio e di figli”. “Solo nel pieno svincolamento da ogni prestazione visibile riluce il trascendente significato ultimo della persona”.
L’emergere di talenti o di prestazioni particolarmente elevate della donna è congiunto al suo “carattere carismatico”, che si radica ultimamente nella virtù teologale della fede: “Non è casuale che la genialità femminile si presenti solo nella sfera religiosa: alla grandezza di una Ildegarda di Bingen, di una Giovanna di Orléans, di una Caterina da Siena non può essere accostata nessuna donna nel mondo profano. Così diventa comprensibile che la Chiesa, la quale fa dell’uomo l’unico portatore della gerarchia, riconosce il carisma femminile”.
Hans Urs von Balthasar una volta scrisse: “Senza mariologia il Cristianesimo minaccia di diventare inavvertitamente disumano. La Chiesa diventa funzionalista, senza anima, un’azienda frenetica incapace di quiete, viepiù straniata in rumorose programmazioni. E poiché in questo mondo omosessuale [mann-männlich] ideologie sempre nuove si danno il cambio l’un l’altra, tutto diventa polemico, critico, amaro, privo di umorismo e infine noioso, e la gente scappa in massa da una tale Chiesa” (H. U. von Balthasar, Klarstellungen. Zur Prüfung der Geister, Einsiedeln 19784, 72).
In questa prospettiva, il femminismo ateo, in quanto ideologia contemporanea, rappresenta il rovescio della medaglia della sterilità materiale e spirituale di questo “mondo omosessuale”, e prolifera a dismisura nelle società occidentali massivamente influenzate dall’odierno spirito del tempo, che spinge l’uomo verso la divinizzazione dell’autorealizzazione, la quale minaccia di condurlo inarrestabilmente all’autoannientamento. Tutto ciò avversa violentemente il vero significato della persona e il suo peso specifico, autenticamente svelato dalla Donna eterna. Ma il senzadio – come saggiamente osserva Robert Spaemann nelle sue meditazioni sui Salmi – è destinato a diventare insignificante, senza peso.
Ciò che Gertrud von le Fort scrive sul valore della ricettiva accoglienza della persona sull’esempio del femminile, si avvicina alle riflessioni del filosofo tedesco Paul Ludwig Landsberg: “La via del compimento di sé è la via della rinuncia, rinuncia anzitutto all’intenzione di diventare se stessi, di diventare un essere particolare” (Quelques réflexions sur l’idée chrétienne de la personne, Esprit, Vol. 3, No. 27 [Déc 1934], pp. 396-397).
Da quanto detto, G. von le Fort e, in modo simile, P. L. Landsberg paiono affermare qualcosa che oggi suona contrario al buon senso. Ma questa, appunto, è solo apparenza, come acutamente esemplificato dal poeta: “In un mondo di fuggitivi, la persona che prende la direzione opposta sembrerà che stia scappando via” (Th. S. Eliot, The Family Reunion [1939]: “In a world of fugitives, the person taking the opposite direction will appear to run away”).
L’umile aura della “Donna eterna”, cantata in modo così attraente da G. von le Fort, quasi un secolo dopo la pubblicazione di questo suo libro getta un raggio di candida luce su una legge fondamentale, resa nota duemila anni fa da Gesù, la quale è e sarà sempre in vigore nella vita di ogni uomo e di ogni donna: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (Lc 9, 24).
(1 – continua)
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