Mustafa Minte Lamin, il pusher cambiano di 33 anni considerato responsabile di aver venduto una dose di eroina fatale all’attore Libero De Rienzo, è stato condannato a 8 anni di carcere. Lo ha deciso il giudice monocratico di Roma, che lo ritiene colpevole per la detenzione e la cessione di droga. Invece è stato assolto dall’accusa di morte come conseguenza di altro reato. Il pm Francesco Minisci, titolare del fascicolo sulla morte dell’attore – deceduto a 44 anni d’overdose il 15 luglio 2021 nella sua abitazione di Roma in zona Madonna del Riposo -, aveva chiesto una condanna complessiva a 13 anni, di cui nove anni per la detenzione e la cessione della droga e 4 anni per l’accusa di morte come conseguenza di altro reato.
«Il 14 luglio Mustafa Minte Lamin ha ceduto l’eroina a Libero De Rienzo: vi è inoppugnabile riscontro della cessione alla luce della droga trovata a casa» dell’attore, ha spiegato il pm in aula nella sua requisitoria. «Libero De Rienzo era sano ed è morto a causa della droga assunta», ha aggiunto il pubblico ministero.
“Libero De Rienzo morto aver assunto quantità importante di eroina”
Il pm ha ricostruito tramite i tabulati gli ultimi contatti e l’incontro durante il quale è avvenuta la compravendita di droga. La decisione di droga, avvenuta il 14 luglio 2021, «è solo l’ultima di una serie di cessioni passate, infatti, Lamin conosceva da prima l’indirizzo di De Rienzo», ha spiegato il pm. Infatti, il pusher era a conoscenza del fatto che l’attore era un consumatore abituale di sostanze stupefacenti, tanto che quando concordarono un appuntamento non fu necessario chiedere l’indirizzo. Inoltre, Mustafa Minte Lamin ha «ceduto eroina tossica e impura che ha causato l’evento morte». Le relazioni di medico legale ed esperto tossicologo sono chiare in tal senso: «De Rienzo morì non per patologie pregresse ma semplicemente per aver assunto una quantità importante di metaboliti della eroina». Per il pusher non è finita qui. L’uomo è accusato di aver ceduto droga, oltre che a Libero De Rienzo, anche ad altre cinque persone. Lo ha rilevato una minuziosa indagine dei carabinieri del nucleo operativo della compagnia di Roma San Pietro. Al processo Marcella Mosca, moglie e figli, avevano deciso di non costituirsi parte civile.