Lo scorso marzo, mentre l’Italia stava per entrare nel primo lockdown della storia, nelle carceri italiane qualcosa ribolliva. Istituti penitenziari in fiamme, morti tra i detenuti, agenti feriti, proteste devastanti: tutto ciò avveniva in diversi penitenziari d’Italia. A distanza di quattro mesi da quei fatti violenti, durante i quali ben 13 detenuti hanno perso la vita, l’Antimafia sta cercando di fare chiarezza conducendo, nel massimo riserbo, una maxi inchiesta sulle rivolte dello scorso marzo. E’ quanto emerge da un articolo di oggi 22 luglio di Repubblica.it e stando ai primi esiti delle indagini, alle testimonianze ed al lavoro preliminare dei poliziotti dello Sco e Ros pare proprio che le tante anomalie abbiano a che fare con la mafia. Quale sarebbe il suo ruolo nell’intera vicenda? Saranno proprio gli inquirenti a doverne venire a capo. Secondo il quotidiano, il Garante nazionale dei detenuti avrebbe stilato un documento contenente tutti i numeri dell’emergenza e attualmente agli atti. Dal documento emergerebbe un vero e proprio scenario sudamericano che non potrebbe avere a che fare semplicemente con le misure restrittive anti Coronavirus. Le rivolte non sono avvenute solo tra il 7 e il 9 marzo ma tra incendi, risse e danneggiamenti si sarebbe andati avanti fino al 20 aprile scorso. I fatti violenti hanno interessato 49 istituti su 194 coinvolgendo oltre 10mila detenuti e portando alla morte di 13 di loro e al ferimento di altri 99. Sono stati necessari oltre 6mila interventi con 136 agenti feriti e danni per circa 12 milioni di euro.
“MAFIA DIETRO RIVOLTE NELLE CARCERI”: LE INDAGINI IN CORSO DELL’ANTIMAFIA
Ad aprire la lunga lista delle sommosse nelle carceri italiane è stata la bozza del dl sulle misure straordinarie anti-Covid che prevedeva il blocco fino al 31 maggio di colloqui con congiunti dei detenuti e permessi premio. La prima protesta si registrò il 7 marzo nel carcere di Salerno. A Repubblica una fonte qualificata del ministero della Giustizia spiega: “Era il pretesto che in molti, dentro, stavano aspettando per scatenare il caos. Già a partire da dicembre si erano registrati segnali di tensione nell’Alta Sicurezza (le sezioni a stretta sorveglianza dei condannati per reati di tipo associativo, come mafia e traffico di droga, ndr)”. La protesta si spostò poi velocemente coinvolgendo il carcere di Poggioreale, Secondigliano, Santa Maria Capua Vetere, e così passando per i penitenziari pugliesi, siciliani e nel resto d’Italia. Gli investigatori hanno analizzato con attenzione ciò che accadeva. “Guardate chi sono i deceduti, sono tutti detenuti difficili che hanno assaltato le farmacie interne”, spiega un investigatore. Si tratta delle pedine più fragili, come tossicodipendenti, letteralmente ‘usati’ da chi vuole attaccare lo Stato. Le maggiori proteste sono avvenute nelle carceri sovraffollate che ospitano mafiosi pugliesi e camorristi, mentre i siciliani si sono mossi solo dopo e i calabresi affiliati alla ‘ndrangheta sono rimasti curiosamente in silenzio.
Gli investigatori si sono espressi anche su quanto avvenuto a Foggia con l’evasione di 77 detenuti: “Una cosa del genere l’avevamo vista soltanto in Narcos, la serie tv su Pablo Escobar”. Dai primi accertamenti è emerso come pugliesi e napoletani siano stati la parte entrata in azione, mentre siciliani e calabresi quella politica. I detenuti che manifestavano a Salerno avrebbero consegnato agli agenti un elenco con le loro richieste, in parte accolte e nessuno dei ribelli sarebbe stato oggetto di sanzioni. Anche su questo sono in corso le indagini.