“Grazie per la giornata di incontro e preghiera al santuario, la bellezza del silenzio, le preghiere dei fedeli solitamente inascoltabili nelle Messe e invece semplici e vere, una grande e tesa e seria attesa nella chiesa gremita e silenziosissima, abitata dalla presenza di Gesù. Ho affidato alla preghiera di Marco (che non desidera più come sulla terra la verità e la gioia perché le sta vivendo) il mio G., il suo cammino nella vita. Ho offerto nella Messa la mia vita errabonda al Signore, implorando di poterlo servire sempre dentro la concretezza delle mie giornate e del mio tempo, anche quando mi pare di essere appunto più un errante che un pellegrino”.
Cosa ci fanno più di 400 ragazzi, liceali e universitari, in marcia sotto una pioggia fitta e incalzante, in un sentiero diventato fango che sale ripido da Rapallo al Santuario di Montallegro che sovrasta il meraviglioso golfo di Portofino, seppur invisibile tra le nuvole basse che tutto coprono e confondono? Cosa fa dire a uno dei partecipanti le parole di cui all’inizio di questo articolo?
E’ il miracolo della bellezza che da anni si ripete nel pellegrinaggio che ha riportato queste terre, patria del turismo dei vip miliardari, un tempo sede di gente povera che si spaccava la schiena e le mani per tirare fuori di che vivere, ma costruiva santuari di bellezza trascendentale, come questo edificato dalla popolazione rapallese tra il 1557 e il 1558, assieme all’annesso ricovero per pellegrini, dopo l’apparizione della Vergine Maria avvenuta, secondo la tradizione, il 2 luglio 1557 al contadino Giovanni Chichizola. Ne è piena la Liguria di santuari dedicati alla Madonna che si piegava a incontrare poveri contadini e fanciulle per abbracciarli. Questi ragazzi, i loro genitori, sono eredi di questa tradizione, che hanno vivificato e resa di nuovo carne viva. Lassù al santuario li aspetta il vescovo di Chiavari Gianpio Devasini che li accoglie a braccia aperte.
Anche quest’anno per la decima volta, un pellegrinaggio suscitato dal ricordo di uno di loro, che dieci anni fa esatti il 5 novembre sulla superstrada di Monza, anche allora sotto la pioggia fitta, perdeva la vita in un incidente a solo 17 anni. Marco Gallo, un ragazzo così uguale e così diverso dai suoi coetanei, affamato di vita, di felicità, di desiderio di vedere il volto di Dio. Che ha lasciato un segno che spacca. “Io sto conoscendo Cristo in ciò che accade e lo sto conoscendo sempre di più” aveva scritto tra i suoi fogli densi di pensieri e meditazione. “In poche parole l’intelligenza acutamente affettiva di Marco ci indica la strada. La scelta del pellegrinaggio ne è conferma significativa. Il pellegrinare che è la nostra vita ci impone la questione del “perché” e del “per chi” viviamo. Vale a dire la questione del senso che solo, come Marco dice nello stesso passaggio, può generare gusto e novità” ha commentato il cardinale Angelo Scola nel suo messaggio di augurio ai partecipanti al pellegrinaggio.
Tutto si compie ora, cantava Claudio Chieffo. In quel brevissimo spazio di tempo dal giorno della Festa di Tutti i Santi al giorno del suo sacrificio. Marco è un santo dei giorni nostri. “E allora giungerà una risposta. ma dove cercarla? Come un bambino segue l’aquilone, e come il giorno dopo, vuole rifarlo. Dobbiamo andare nei luoghi, ma soprattutto, dalle persone, che per un solo istante sono state sua risposta. Proprio come un poveretto va a chiedere i soldi: si, è umiliante, ma che altro fare? Suicidarsi o convertirsi?”. Grazie Marco per mostrarci la strada: “Ogni giorno scegli tu dove guardare”.
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