Delitto Luca Varani, per Marco Prato non ci fu alcuna istigazione al suicidio: "ha scelto di morire", no reati per carcere o agenti secondini
SUICIDIO MARCO PRATO: “SCELSE LUI DI MORIRE”
Gli inquirenti di Velletri volevano ricostruire cosa fosse successo in quelle ore immediatamente prima del processo: volevano sapere se Prato, detenuto ad alto rischio nel carcere locale considerato il tentato suicidio di qualche settimana prima «fosse seguito e assistito adeguatamente, anche da uno psichiatra». «Il monitoraggio e la protezione sono mancati», denunciava la famiglia di Marco Prato, ma ora il Tribunale di Velletri ha dato ragione alla procura «non ci fu nessuna colpa nessun reato da addebitare a nessuno». Non sono dunque imputabili reati alla direzione del carcere ma neanche ai secondini addetti alla sorveglianza: Prato in quel drammatico giugno 2017 si era infilato la testa in un sacchetto collegato a una bomboletta di gas usate per la cucina da campeggio e fece così perché «lo voleva fare», conclude il Tribunale. La memoria difensiva di Marco Prato voleva puntare tutto sul fatto che nel delitto di Luca Varani lui non aveva usato armi e non avrebbe mai voluto la morte del ragazzo: «Non ho partecipato quella notte. Non ho usato le armi», venne ritrovato nel messaggio cestinato del bagno del carcere, come riporta il Messaggero. A completa conferma della tesi della procura vi sarebbe poi anche la lettera invece lasciata per la propria famiglia dove l’ex pierre dei vip della “Roma bene” scriveva «il suicidio non è una scappatoia o gesto egoistico, è solo una malattia. […] La pressione dei media è insopportabile, le menzogne su quella notte e sul mio conto sono insopportabili. Questa vita mi è insopportabile. Perdonatemi».