L’omicidio di Marta Russo fu definito il “delitto perfetto”, ma sono molte le ombre sulla condanna di Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro. A evidenziarle Il Dubbio 24 anni dopo la morte della studentessa 22enne, colpita da un proiettile mentre camminava in un viale della città universitaria della Sapienza di Roma. Ad esempio, la dottoranda Maria Chiara Lipari, che venne sottoposta a diversi interrogatori, cambiò più volte versione fino a quando non tirò fuori i nomi dell’usciere Francesco Liparota e della segretaria Gabriella Alletto, i quali negarono la loro presenza nell’aula 6 dell’Istituto di Filosofia del diritto della facoltà di Giurisprudenza. Venne poi arrestato il professor Bruno Romano, direttore dell’istituto, perché gli inquirenti erano convinti che stesse ostacolando le indagini dicendo ai suoi di non parlare. A quel punto Gabriella Alletto cambiò versione dicendo di essere entrata in quell’aula e di aver visto Francesco Liparota, proprio come aveva detto la dottoranda.
Si arrivò così alle accuse al dottorando di filosofia del diritto Giovanni Scattone di aver sparato dalla finestra e al collega Salvatore Ferraro di aver portato via l’arma. Francesco Liparota, dal canto suo, dopo una notte in carcere confermò la versione di Gabriella Alletto, salvo poi smentirla il giorno successivo.
MARTA RUSSO, LE OMBRE SULLE CONDANNE
Ma non finì lì. Dopo diverse settimane, la studentessa Giuliana Olzai disse di ricordare di aver visto Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro passare quel giorno alla Sapienza. Poi Maria Chiara Lipari dichiarò di ricordare finalmente di aver visto anche lei i due nella stanza, con sicurezza Ferraro, molto probabilmente pure l’altro. Cominciò così il processo che portò alle condanne dei due, ma nel frattempo continuarono ad emergere contraddizioni. Come la videoregistrazione dell’interrogatorio di Gabriella Alletto, dove si sente il procuratore Italo Ormanni tuonare: «La prenderemo per omicida!». I periti spiegarono poi che non c’era alcuna certezza che lo sparo fosse partito dall’aula 6, così nel processo d’appello una nuova perizia chimica stabilì che la particella trovata sulla finestra dell’aula non era riconducibile all’innesco del proiettile che colpì a morte Marta Russo. Ma Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro furono condannati entrambi. Il primo a 5 anni e 4 mesi per omicidio colposo e porto abusivo d’arma, l’altro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento e porto abusivo d’arma. Una sentenza che fece discutere tutti. La verità apparve allora tutt’altro che scontata.