È una situazione troppo complessa quella italiana per azzardare ipotesi di nuovi scenari politici in vista dell’imminente elezione del Presidente della Repubblica. La scadenza è arrivata dopo un biennio drammatico di pandemia e dopo una svolta, rispetto alla maggioranza parlamentare uscita dalle ultime elezioni politiche, che si basa sulla soluzione di un’emergenza sanitaria, una economica e una politica e che è stata voluta dallo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella (formalmente dimissionario) ma anche da ambienti europei politici e finanziari e da una discreta pressione atlantica che viene da oltre oceano.
Il 13 febbraio di questo ormai passato 2021, Mattarella ha affidato a Mario Draghi la carica di presidente del Consiglio sostituendo quindi la gestione di Giuseppe Conte, il nuovo e discusso leader del Movimento 5 Stelle, con l’ex presidente della Banca centrale europea e la sua caratura continentale di “salvatore dell’euro”.
In uno stato di emergenza che dura ormai da due anni e che è stato prolungato di oltre tre mesi, fino al 31 marzo del 2022, Draghi ha indubbiamente, nella spaventosa frammentazione del Parlamento, una coalizione multiforme con solo Fratelli d’Italia e qualche piccola realtà di sinistra all’opposizione, quel minimo di coesione necessario per affrontare due rischi terribili: gli effetti di una pandemia tragica e le conseguenze di un’economia che aveva perso oltre dieci punti di Pil per i lockdown, le disuguaglianze crescenti, la paura, il rancore e le divisioni interne.
Di fatto Draghi, con il suo governo composito, in modo quasi paradossale, ha assicurato una vaccinazione di massa che ha contenuto i numeri della pandemia e solo adesso deve subire i contraccolpi della variante Omicron, rispondendo però in modo sostanzialmente positivo. Nello stesso tempo, pur con tutte le contraddizioni di programmi economici che l’Italia ha accumulato in questi anni, si vedono i segnali di una ripresa, di una ripartenza. Ma il problema è la governabilità, il mantenimento di questa situazione pur politicamente anomala.
Da tempo si è visto e si è potuto constatare che, pur tra difficoltà e contraddizioni, l’Italia, nella grande crisi europea e mondiale, non ha sfigurato nella lotta alla pandemia e nei tentativi di ripresa con la gestione e l’approvazione dei vari capitoli del Pnrr europeo.
In definitiva la stabilità, anche se paradossale nella sua formazione di maggioranza e nella sua dialettica parlamentare “dimezzata”, e la governabilità possibile ha per lo meno permesso all’Italia di sopravvivere dopo un biennio dove si sono accumulati problemi che parevano insormontabili.
Mario Draghi è un grande economista e un esperto di cose finanziarie. Forse conosce meno la politica, ma la mastica sufficientemente per colmare alcune cadute istituzionali.
In sostanza, al momento, il meglio è mantenere questa stabilità, con due uomini che di fatto, pur con eventuali errori, l’hanno garantita.
Questi due uomini si chiamano Mario Draghi e Sergio Mattarella, nelle attuali posizioni occupate, almeno per superare l’ultimo miglio della crisi sanitaria, economica e politica. Insomma due uomini al posto giusto nel momento giusto.
Il problema apparirebbe semplice, viene condiviso anche dalla stragrande maggioranza degli italiani, ma non è facile da risolvere, sia per i giochi interni e aggrovigliati di partiti che oramai sono tutto tranne che veri partiti e poi perché Mattarella, forse per uno scrupolo di responsabilità, non vuole ripetere l’allungamento del mandato già fatto da Giorgio Napolitano.
Da giorni Mattarella ripete che non vuole fare il “bis”, che si dimetterà anche se alla prima della Scala c’è stato un originale “bis” di ovazione, non diretto all’opera che andava in scena ma al presidente che assisteva dallo splendido e antico palco reale.
Questo sta diventando il problema dei problemi.
Anche un passaggio di Mario Draghi al Quirinale non assicurerebbe la stabilità necessaria e raggiunta, sentite le dichiarazioni dei cosiddetti leader dei “nuovi partiti”. Senza Mattarella al Quirinale e senza Draghi a Palazzo Chigi una maggioranza di governo non la si raggiungerebbe più.
In sostanza, detto in parole brevi e secche, si può uscire da questa lunga crisi con l’attuale e assoluta immobilità dei ruoli che attualmente vengono ricoperti.
Cerchiamo di ripetere sinteticamente i motivi. Sergio Mattarella garantisce l’unità nazionale e l’attuale assetto istituzionale (non c’è tempo per fare una riforma istituzionale in senso presidenziale o semipresidenziale), Mario Draghi garantisce la competenza del governo in materia economica e organizzativa e riesce a mediare tra gente che non conosce più la politica, dimenticata in Italia da troppi anni e improvvisata da mezze calzette ritrovatesi ai vertici o da “panchinari” di bassa levatura.
Sia Mattarella che Draghi assicurano il contesto europeo e la scelta atlantista che negli ultimi tempi, per i nuovi leader estemporanei, è diventata evanescente.
Ma detto questo, il problema esiste per le ripetute dichiarazioni di Sergio Mattarella a non candidarsi più al Quirinale. Anche ieri sera, nel tradizionale discorso di fine anno, il presidente ha esordito in questo modo: “Ho sempre vissuto questo tradizionale appuntamento di fine anno con molto coinvolgimento e anche con un po’ di emozione. Oggi questi sentimenti sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente”.
Sin dall’inizio Mattarella sembra quasi ossessionato dal rispetto della Costituzione. Ma il problema è che la realtà, in molti casi, supera lo stesso dettato costituzionale o in tutti casi lo aggira o lo forza nei limiti del possibile.
Mattarella si è poi soffermato sui sette anni del suo mandato, ricordando momenti felici, ma anche la tristezza di questi ultimi periodi, la scoperta dell’identità italiana come comunità che si riunisce, il ringraziamento alla scienza e a tutti i suoi operatori di ogni grado e funzione. Poi Mattarella pronuncia una frase che sembra un invito di responsabilità per tutti, e forse anche per se stesso, di fronte a questa realtà: “La pandemia ha inferto ferite profonde: sociali, economiche, morali. Ha provocato disagio per i giovani, solitudine per gli anziani, sofferenze per le persone con disabilità. La crisi su scala globale ha causato povertà, esclusione e perdite di lavoro. Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi”.
In un altro punto del suo discorso, Mattarella scandisce tre necessità: “Il volto reale di una repubblica unita e solidale”, “il patriottismo concretamente espresso nella vita di una Repubblica”, “la Costituzione affida al Capo dello Stato il compito di rappresentare l’unità nazionale”.
Quando Mattarella sottolinea questi aspetti, pensi a che cosa accadrebbe se la votazione per il nuovo presidente si trasformasse in una roulette con una pallina impazzita e in una rissa di franchi tiratori. Aspetti il presidente a essere ultimativo nel suo ritiro e si convinca che la stabilità necessaria è stata trovata solo un anno fa. Forse anche Mario Draghi, al di là di legittime speranze, dovrebbe ricordare questo al presidente che lo ha incaricato per dirigere il governo. Sarebbe un salto di qualità della politica italiana degli ultimi trent’anni.
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