Maturità 2025, traccia svolta C2. L'indignazione sui social: utile per la crescita ma sfruttata da clickbait e fake news. Serve consapevolezza.
Prima Prova della Maturità 2025: ecco qui di seguito la traccia svolta per il tema di attualità C2, il brano di Anna Meldolesi e Chiara Lalli dal titolo “L’indignazione è il motore del mondo social. Ma serve a qualcosa?”. Per leggere le altre tracce svolte della prima prova ecco la diretta live dell’Esame di Maturità su “IlSussidiario.net”
L’articolo di Anna Meldolesi e Chiara Lalli inizia con una domanda, ovvero se l’indignazione, che è considerata il motore del mondo dei social, serva a qualcosa.
L’indignazione, associabile al disgusto, fa parte delle nostre emozioni base, indispensabili per reagire al mondo che ci circonda e per il nostro spirito di autoconservazione. Quindi ritengo che la risposta alla domanda sia: “Sì, l’indignazione serve a qualcosa”, ma a cosa?
L’indignazione è fondamentale per definirci, in quanto ci permette di poter circoscrivere con più precisione ciò che riteniamo moralmente ed eticamente ingiusto, portando a una definizione del sé sempre più accurata e precisa. E, così come l’espressione del piacere, l’indignazione è altrettanto rilevante.
Tuttavia, si sta analizzando questa reazione emotiva nel contesto dei social, in cui alcune regole cambiano rispetto al mondo reale.
Infatti, molto spesso questa tipologia di contenuti, che possono provocare disgusto, rabbia e sdegno, è creata per uno scopo preciso: attrarre un alto numero di utenti. Sono definiti contenuti clickbait, ovvero “acchiappalike”, che hanno l’obiettivo di raggiungere il maggior numero di persone, creando una sorta di community, per poi condividere contenuti mirati, ad esempio le fake news.
Le fake news
Sentiamo giornalmente parlare di fake news, leggiamo e sentiamo costantemente parlare di articoli che spiegano come salvaguardarsi da esse e come imparare a riconoscerle. E spesso ci si chiede come mai vengano create, perché circolino e a che scopo.
Le fake news sono un vero e proprio problema sociale, perché il loro scopo è quello di creare confusione, orientare le masse verso determinate ideologie o linee di pensiero. Sono spesso utilizzate a livello politico, nelle campagne elettorali, per screditare gli avversari e instillare il dubbio negli elettori: ricordiamo la campagna elettorale di Barack Obama negli Stati Uniti iniziata nel 2008, durante la quale Donald Trump diffuse l’informazione che Obama non fosse nato negli Stati Uniti e quindi non eleggibile come presidente, secondo la legislazione americana.
Poi queste voci furono smentite con la pubblicazione del certificato di nascita del candidato, ma nel frattempo questa informazione creò un largo seguito e molto caos mediatico.
Infatti, lo scopo di questa tipologia di informazione, o meglio, disinformazione, è di creare dubbio, il quale porta le persone a essere incerte, ed essendo l’essere umano un essere pigro, si accontenterà delle opinioni che gli vengono presentate senza crearsi un pensiero critico e un’opinione personale.
Il controllo delle masse
Tutto questo rientra nella questione della comunicazione di massa e nel controllo delle masse stesse, e come non citare 1984 di George Orwell, romanzo distopico di un futuro grigio e comandato da un “Grande Fratello”. Ma siamo così distanti da questa realtà? Ormai viviamo in un mondo in cui i contenuti pubblicati sui social sono capaci di orientare le nostre emozioni e i nostri pensieri, capaci di entrare nella nostra quotidianità, plasmare il nostro essere e la nostra mente.
E, come esposto nell’articolo “L’indignazione è il motore del mondo social”, sono capaci di creare una risposta emotiva, portando a sprecare le nostre energie su questioni irrilevanti, spostando la nostra attenzione da ciò che ci concerne e conta davvero. Non è questa una forma di controllo?
Stiamo assistendo a un annichilimento delle masse e dello spirito critico; siamo sempre più abituati ad avere la risposta pronta, il che è una contraddizione, perché viviamo nell’epoca in cui abbiamo il maggior accesso all’informazione e a qualsiasi forma di contenuto rispetto a qualsiasi altra epoca. Tuttavia, questo non sembra avere gli effetti positivi che ci si aspetterebbe, e risulta che questo afflusso costante di informazioni porta a uno spreco di energia emotiva e cognitiva.
Cause del fenomeno
Personalmente, ritengo che questo fenomeno sia dovuto a due cause: l’analfabetismo tecnologico e la monetizzazione delle piattaforme social.
Con analfabetismo tecnologico si intende la scarsa conoscenza dei meccanismi di funzionamento dei social e della tecnologia in generale da parte di un alto numero di persone. Di conseguenza, i social e la tecnologia non vengono sfruttati con tutta la potenzialità che avrebbero per poter arricchire e facilitare la vita degli utenti. A causa di questo fenomeno, i social vengono utilizzati in modo passivo e ignorante, in cui si scorrono contenuti di bassa qualità e spesso provocatori, sprecando energia cognitiva.
Per arginare questo problema, di fondamentale importanza, sarebbe utile mettere a disposizione i mezzi per poter navigare nel web con maggiore consapevolezza e senso critico, attraverso le scuole o programmi di alfabetizzazione tecnologica rivolti ai cittadini, e non limitarsi solo al presentare i rischi che possono esserci sul web, ma spiegarne il funzionamento e comprenderne meglio i rischi e le opportunità.
Sono fermamente convinta che i social e la tecnologia siano una grande risorsa, sia per la socializzazione, per la creazione di comunità, scambio di informazioni e opinioni, sia per accedere a un vastissimo bacino di informazioni e conoscenze, per cui però è necessario saper fare una selezione attenta e consapevole.
In secondo luogo, le piattaforme incentivano e permettono la diffusione di contenuti che creano indignazione perché, avendo un alto numero di visualizzazioni, generano guadagno. L’obiettivo delle piattaforme social è quello di far passare più tempo possibile online all’utente; quindi, più contenuti clickbait ci sono, meglio è, e per questo motivo non hanno alcun interesse a limitarli.
Non penso sia applicabile l’idea di creare social più moralmente ed eticamente corretti, né pensare di poter limitare questi contenuti; per cui ritengo che sia sempre l’utente a dover applicarsi a selezionare i contenuti a cui ha accesso e i suoi interessi, per poter limitare la visualizzazione di video e post sgradevoli.
Analisi sociologica e psicologica del fenomeno
È interessante analizzare perché questa tipologia di contenuti piaccia e perché diventi virale: si possono fare sia un’analisi psicologica che una sociologica.
A livello psicologico, possiamo fare riferimento all’effetto-dopamina su cui si basano i social: la tipologia di contenuti presa in analisi crea una risposta emotiva forte, come quella dello sdegno, il che genera dipendenza da dopamina, e ne ricerchiamo sempre di più, passando anche ore a scorrere contenuti insignificanti.
A livello sociologico, invece, si può fare riferimento alla cultura dello scandalo, che ha sempre funzionato nel giornalismo, ovvero il focalizzarsi su notizie tragiche, negative, che spettacolarizzano anche le più banali delle situazioni, rendendole interessanti per un lettore poco critico.
Conclusione
In conclusione, l’indignazione è sia ciò che può portarci a cadere nelle trappole del meccanismo dei social, catturandoci in spirali di sdegno e disattenzione, sia ciò che potrebbe condurci a sviluppare un pensiero critico e distaccato, affrontando i contenuti con consapevolezza e sensibilità morale.
Siamo noi a doverci attivare per indignarci per le cose giuste e mobilitarci di conseguenza, evitando di vivere nella passività.
Per questo diventa essenziale educare al pensiero critico e virare verso un cambio di rotta culturale, in cui trasformare la visione dei social come strumento di manipolazione in uno strumento di apertura verso altre realtà.