La telefonata di Giorgia Meloni ad Abu Mazen dei giorni scorsi sembra dettata da una scelta non molto criticabile del Governo italiano
La recente telefonata di Giorgia Meloni ad Abu Mazen, Presidente dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), ha provocato qualche critica perché considerata una specie di ribilanciamento, dopo le nette prese di posizione in favore di Israele. In una situazione complessa come quella del Medio Oriente è realisticamente impossibile ragionare in termini di nero contro bianco. Spesso non basta neppure prendere in considerazione le due facce della medaglia, perché qui le medaglie hanno parecchie facce.
Nelle manifestazioni di piazza, ma anche in autorevoli dichiarazioni, invece si contrappongono in modo definitivo Israele e i palestinesi, ma la realtà è molto più articolata. Il Governo di Netanyahu, per rimanere in sella, ha fatto proprie le posizioni dell’estrema destra religiosa, rappresentata nel Governo da due importanti ministri: Bezalel Smotrich, ministro delle Finanze, e Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza nazionale. Costoro perseguono il progetto di una Grande Israele che comprenda Gaza e Cisgiordania, con conseguente espulsione dei palestinesi che vi vivono.
Una parte non indifferente degli israeliani si oppone a questa visione e una delle maggiori resistenze proviene proprio dai vertici dell’Idf, le forze armate israeliane, pur divise al loro interno. Particolarmente significativa è la lettera inviata a Trump all’inizio di agosto da 600 ex funzionari dell’intelligence israeliana per chiedere un intervento su Netanyahu perché ponesse fine alla guerra. Continuano intanto le accese polemiche sui tentativi di estendere il servizio militare agli studenti ultraortodossi finora esenti, che hanno portato all’uscita dal Governo di due partiti dell’estrema destra religiosa. Infine, le famiglie degli ostaggi ancora in mano ad Hamas hanno chiesto al Governo di fermare la guerra e di agire più efficacemente per la liberazione dei loro cari.
Sull’altro fronte, anche Hamas non rappresenta tutti i palestinesi, la maggior parte dei quali vorrebbe poter vivere in pace in un proprio Stato, senza avere come scopo primario la distruzione di Israele. Ciò che colpisce è che queste due facce della medaglia, decisamente contrapposte, hanno uno scopo coincidente, seppure opposto: la destra israeliana vuole un Grande Israele dal Giordano al mare, Hamas vuole uno Stato islamico dal mare al Giordano.
Giorgia Meloni si è rivolta a un’altra faccia della medaglia, cioè l’Anp che governa, sempre più teoricamente, la Cisgiordania che, insieme alla Striscia di Gaza, sulla base degli accordi di Oslo del 1993 dovrebbe costituire in futuro lo Stato palestinese. Per il momento si tratta di un’autonomia limitata di governo che riguarda solo la Cisgiordania, perché Gaza è rimasta sotto il controllo di Hamas dopo la sua vittoria nelle elezioni del 2006, cui seguirono scontri armati e la cacciata dalla Striscia di Fatah, l’organizzazione palestinese maggioritaria nell’Anp.
La faccia scelta dalla Meloni è la più debole, ma è l’unica che può rifarsi ad accordi internazionali e, in particolare, ad accordi con Israele, anche se da quest’ultimo sostanzialmente disattesi. Al di là delle intenzioni del nostro Primo ministro, è a mio parere un possibile tentativo, magari troppo ottimistico, di riportare nella realtà, e non solo in dichiarazioni di facciata, quello Stato che i palestinesi aspettano dal 1948.
Una soluzione difficile, ma l’unica che può forse portare a una ricomposizione delle numerose facce descritte. Il tempo che rimane è molto limitato, visto che il Governo israeliano sembra sempre più deciso a “esportare” gli abitanti di Gaza in Africa: dopo il Ruanda e la Cirenaica si parla ora del Sud Sudan. Una soluzione che potrebbe realizzare concretamente quella “Riviera del Medio Oriente” prospettata da Donald Trump, ennesima e non irrilevante faccia della questione.
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