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Home » Lavoro » CONSIGLI NON RICHIESTI/ “L’effetto Ikea” da evitare nel lavoro in team

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CONSIGLI NON RICHIESTI/ “L’effetto Ikea” da evitare nel lavoro in team

Greta Mezzetti
Pubblicato 19 Gennaio 2025
lavoro e gestione risorse umane

Pixabay

Ci sono dei bias cognitivi che possono colpire i manager alla guida di un team di persone, rovinando il lavoro in gruppo

Accade con frequenza che manager alla guida di un team di persone siano portati a pensare che i propri collaboratori non siano in grado di svolgere determinate attività al loro stesso livello. Si tratta di un pensiero non sempre legato ad atteggiamenti di presunzione, ma spesso causato da meccanismi inconsci non direttamente controllabili. Nello specifico, esiste un bias cognitivo chiamato Effetto Ikea che porta chi lo subisce ad attribuire maggior valore a un prodotto, un progetto, un’idea che ha contribuito a creare attivamente. Il termine deriva dall’esperienza comune di montare autonomamente i mobili dell’omonima multinazionale svedese, dove il coinvolgimento diretto nel processo di assemblaggio aumenta l’apprezzamento e la soddisfazione verso l’oggetto finale.


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Questo errore del ragionamento può portare a sovrastimare il proprio lavoro e, di conseguenza, a sottostimare quello degli altri. Si tratta di un importante ostacolo al processo di delega, specialmente in riferimento a quei compiti che si ritiene strettamente correlati alla propria mansione. Una mancanza di fiducia che può portare a fenomeni di micromanagement che certamente soffocano la crescita professionale dei componenti del proprio team.


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Al di là della percezione soggettiva, in effetti all’inizio di un processo di delega si riscontra spesso un fisiologico calo di performance dell’attività delegata. Ci si trova infatti all’interno di un periodo di formazione in cui la possibilità di errore deve essere contemplata. Occorre tuttavia proiettare lo sguardo verso il futuro e riconoscere che la delega, se adeguatamente gestita, può portare il delegato a svolgere la mansione in oggetto a un livello addirittura superiore del suo mandante. Ciò è possibile poiché il collaboratore può dedicare all’attività molto più tempo ed energie fino a specializzarsi.


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Anche questo passaggio può risultare difficile da gestire da un punto di vista psicologico: il maestro non sempre accetta con gioia di essere superato dall’allievo. Occorre invece attuare un cambio di mentalità mettendo da parte l’ego e riflettere sul fatto che è proprio questa condivisione di responsabilità a portare l’azienda a un miglioramento continuo. Invece di rimpiangere le mansioni da delegare è bene concentrarsi su come investire il tempo guadagnato per apportare un reale valore aggiunto, dedicandosi alla creazione di strategie di più ampio respiro capaci di generare un impatto più duraturo.

Esiste poi un ulteriore bias che può influire negativamente sul processo di delega. Si tratta della Maledizione della conoscenza e avviene quando una persona che ha acquisito una conoscenza specifica fatica a immaginare come sia non possederla. Ciò può portare a non considerare le difficoltà che gli altri possono avere nel comprendere o apprendere ciò che lei dà per scontato. Questo errore cognitivo può essere causa di una difficoltà del manager nell’empatizzare con il collaboratore, in questo caso sovrastimando le sue conoscenze e tralasciando informazioni talvolta preziose.

Una tecnica anti-bias utile ad attenuare tale effetto consiste nel mettersi nei panni dell’altro, riflettendo attivamente su ciò che potrebbe non sapere e ricordando con sincerità le proprie difficoltà iniziali.

In conclusione, errori cognitivi come l’Effetto Ikea e la Maledizione della conoscenza sottolineano quanto sia facile cadere in trappole mentali che limitano il potenziale delle persone e ostacolano un processo cruciale per la crescita sia del team che dell’organizzazione nel suo complesso. Prenderne consapevolezza è il primo passo per mitigarne gli effetti.

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