Sentenza della Corte di Giustizia UE affossa protocollo migranti Italia-Albania: “ok lista Paesi sicuri ma giudice deve potere verificare”. Cosa cambia ora
LA CORTE DI GIUSTIZIA UE “BLOCCA” IL PROTOCOLLO SUI MIGRANTI TRA ITALIA E ALBANIA: COS’È SUCCESSO
Se la Commissione Europea, assieme a molti dei Paesi anche con maggioranze politiche diverse dal Governo Meloni, appoggiano e provano ad “imitare” il metodo sul protocollo Italia-Albania, dalla Corte di Giustizia UE giunge una sentenza in assoluta controtendenza che di fatto dà ragione ai giudici italiani. Nella lunga fase di gestazione per un pronunciamento dei giudici UE l’attesa era cresciuta alle stelle dopo i tanti stop dei tribunali italiani alla messa in pratica del trasferimento dei migranti nei due Cpr albanesi, da cui poi i clandestini senza diritto di asilo sarebbero stati rimpatriati nella lista dei “Paesi sicuri” dettati dal Decreto del Governo Meloni.
Ora rischia di stopparsi tutto con la sentenza della Corte di Giustizia Europea che sottolinea come sia diritto di ogni Stato UE a produrre una lista di altri Paesi considerati “sicuri” per il rimpatrio, previo però il possibile e legittimo pronunciamento di un giudice nazionale. Secondo i giudici europei, in contrasto con quanto sostenuto dalla politica europea che invece vedeva di buon occhio l’iniziativa di Roma, «uno Stato non può designare un Paese sicuro se non soddisfa le condizioni sostanziali di questa designazione per alcune categorie di persone».
Non solo, la Corte di Giustizia precisa che la designazione di uno Stato come sicuro per il rimpatrio dei migranti deve avvenire mediante atto legislativo (come il decreto italiano, citato nel protocollo con l’Albania) ma «a patto che tale scelta possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo». Il documento UE specifica inoltre che in merito alla legge applicata dal Governo italiano nell’ottobre 2024 – ovvero il famoso Decreto Paesi Sicuri – non preciserebbe le onti di informazioni su cui lo Stato si è basato per valutare la tal sicurezza del tal Paese terzo.
LE CONSEGUENZE (POSSIBILI) DOPO LA CORTE UE: IL MODELLO ALBANIA A FORTE RISCHIO
In tal senso, la sentenza della Corte di Giustizia UE di fatto difende l’operato delle toghe in Italia che hanno bloccato da mesi l’applicazione del protocollo con l’Albania, impedendo di fatto il trasferimento dei migranti irregolari nei Cpr su suolo straniero. Un Paese per essere definito sicuro da uno Stato europeo, secondo i giudici del Lussemburgo, «deve garantire una protezione sufficiente all’intera sua popolazione».
Anche vedendo i primi commenti dell’opposizione di Centrosinistra in Italia, si può ben intuire che la sentenza della Corte abbia un effetto demolente del principio alla base del protocollo Italia-Albania: di questo però va ricordato come la stessa Corte di Giustizia abbia sottolineato nel suo documento che le condizioni fissate dalla sentenza valgono fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento UE sui Paesi sicuri, ovvero il 13 giugno 2026. Tale svolta di Bruxelles applica il simile principio del Governo italiano, consentendo designazioni di rimpatri con eccezioni però per alcune categoria identificabili di persone.
Ciò significa che in linea di massima, il protocollo con l’Albania potrebbe essere valido (se modificato in quella parte sottolineata dalla Corte) il prossimo anno, a meno appunto che ora non venga anche modificato il regolamento della Commissione UE sui Paesi sicuri etra Europa proprio vedendo il pronunciamento del massimo Tribunale europeo. Va ricordato come l’intera vicenda prende spunto dal trasferimento di due cittadini del Bangladesh (inserito nella lista di Paesi sicuri dal decreto del Governo Meloni) negli allora Cpt (poi divenuti Cpr, ndr) in Albania.
IL COMMENTO DURISSIMO DEL GOVERNO MELONI: “RIDOTTI MARGINI DI AUTONOMIA SU POLITICHE MIGRATORIE”
Il primo commento del Governo Meloni alla decisione della Corte di Giustizia è nettamente contrario e altamente critico della scelta fatta dai giudici del Lussemburgo: «con questa decisione si riducono i margini di autonomia dei governi», si legge nel lungo comunicato di Palazzo Chigi pubblicato appena dopo mezzogiorno.
In sostanza, la Corte UE «decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale» non tanto sul singolo caso specifico, ma sull’intera o in parte «politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri». Mancano 10 mesi all’ingresso in funzione del nuovo Patto europeo per i rimpatri e il Governo italiano cercherà di trovare ogni soluzione possibile per «tutelare la sicurezza dei cittadini», in quanto la sentenza di oggi «dovrebbe preoccupare tutti, Governi e cittadini».