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Home » Politica » MIGRANTI E SENTENZA CORTE UE/ A chi giova mandare in crisi la divisione dei poteri?

  • Politica
  • Europa
  • Immigrazione

MIGRANTI E SENTENZA CORTE UE/ A chi giova mandare in crisi la divisione dei poteri?

Vincenzo Caccioppoli
Pubblicato 5 Agosto 2025
Il presidente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Koen Lenaerts (Ansa)

Il presidente della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, Koen Lenaerts (Ansa)

L’ultima sentenza della CGUE su migranti e Paesi sicuri è un attacco all’indipendenza della politica. Produrrà un’accelerazione verso il Regolamento UE

Fa discutere la “sorprendente” – come è stata definita da Palazzo Chigi – sentenza della Corte di giustizia dell’UE presieduta dal giudice Koen Lenaerts in merito ai Paesi sicuri per poter rimpatriare i migranti.

In questo caso poi la polemica si allarga al perimetro europeo (anche Francia e Germania non sembrano aver accolto favorevolmente la decisione dei giudici della Corte del Lussemburgo). La sentenza, infatti, con ogni probabilità avrà tra i suoi effetti quello di accelerare il processo verso il nuovo Regolamento europeo – a cui fanno esplicito riferimento anche i giudici della CGUE – sulla politica migratoria, che era previsto a giugno 2026.


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In buona sostanza i giudici europei, che sono stati chiamati a discutere in merito ad un ricorso presentato da due cittadini del Bangladesh in attesa di rimpatrio nei centri in Albania, hanno dichiarato che un Paese può essere considerato “di origine sicuro” soltanto se garantisce una protezione adeguata a tutta la popolazione e su tutto il suo territorio.


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E già qui ci sarebbe molto da discutere su quale discrezionalità si dovrebbe adottare per stabilire se un Paese è sicuro in tutto il suo territorio (è del tutto evidente che la definizione si presta ad interpretazioni assai sindacabili, dal momento che ogni Paese ha al suo interno delle zone che sfuggono almeno in parte al controllo delle stesse autorità e che quindi non si possono considerare sicure).

Al giudice viene concessa una discrezionalità quasi assoluta rispetto alle decisioni prese dalla politica. In questo modo è quasi inevitabile quindi considerare il giudizio della magistratura in qualche modo concorrente e determinante rispetto a quello politico. E già qui si crea un precedente piuttosto scivoloso, che mina lo stesso principio democratico della separazione dei poteri dello Stato.


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I giudici europei hanno poi chiarito che ogni Stato dell’Ue può decidere autonomamente quali Paesi inserire in questa lista, anche con una legge, ma questa decisione non è insindacabile: deve poter essere controllata dai tribunali.

Inoltre, le fonti di informazione usate per stabilire che un Paese è sicuro devono essere disponibili sia per i richiedenti asilo sia per i giudici, in modo da permettere un esame completo e una reale tutela dei diritti. In altre parole, i giudici potranno ritenere probanti per la loro sentenza, per esempio, i report delle ONG, che, pur rispettabili quanto si vuole, non si possono certo definire probanti nel merito come per esempio quelli operati da un’ambasciata o dagli uffici immigrazione del ministero degli Interni o di quello degli Esteri.

Dunque appare abbastanza chiaro che il potere dei governi di legiferare su una materia così delicata come quella migratoria, viene limitato dal potere del giudice.

La sinistra italiana, mostrando un certa miopia politica oltre che un’incapacità ormai manifesta di saper gestire il problema migratorio (il povero Minniti, ex ministro degli Interni del Pd, unico ad affrontare di petto la questione migratoria, da tempo viene trattato alla stregua di un reietto da un Pd sempre più schiacciato verso posizioni massimaliste) ha subito utilizzato la sentenza in maniera strumentale, senza capire che essa, oltre ad essere vagamente pilatesca rinviando al nuovo Regolamento europeo in tema migranti, rischia di rimettere in discussione quelle che ormai da tutti i Paesi europei vengono definite come misure necessarie per limitare gli sbarchi di clandestini.

In altre parole, la sinistra di casa nostra non ha ancora capito che questa sentenza avrà tra i suoi sicuri effetti quello di accelerare il processo che porta ad un riforma della politica migratoria, che non potrà che seguire la falsariga di quella inaugurata dal governo Meloni, considerato ormai da quasi tutti i Paesi europei, oltre che dalla Commissione stessa, come un modello da replicare a livello comunitario.

Per di più, persino un modello ed idolo della Schlein come Pedro Sánchez sui migranti la pensa allo stesso modo della Meloni, per non parlare della Danimarca della premier socialista Mette Frederiksen o della Gran Bretagna del laburista Keir Starmer.

In ogni caso, la Francia e soprattutto la Germania hanno già fatto capire che intendono adottare il pugno duro sul tema migrazione clandestina, e questa sentenza della Corte europea di giustizia non farà altro che spingere verso una soluzione condivisa con il governo italiano.

Anche perché sui Paesi sicuri la Commissione, già due mesi fa, si era espressa a favore della scelta operata dal governo italiano, inserendo tra i paesi sicuri sia Egitto che Bangladesh.

Insomma, resta da chiarire un punto: se la politica (migratoria e non solo) di un singolo Paese debba essere decisa da chi è stato legittimamente eletto, oppure da una Corte europea che siede in Lussemburgo e che decide a maggioranza relativa tra i suoi 27 membri (scelti dai singoli governi), o da un magistrato italiano. Con buona pace del povero Montesquieu, che forse si starà rivoltando nella tomba.

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Tags: Marco MinnitiGiorgia MeloniPdGoverno Meloni

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